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Channel: Ale – Telefilm Addicted | News, spoiler, recensioni episodi serie tv

Dracula – Recensione della miniserie firmata da Moffat e Gatiss

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Siamo entrati nel 2020 solo da pochi giorni e la tv britannica (e Netflix) già ci deliziano con nuovi prodotti di ottima qualità, portando sui nostri schermi l’attesa versione di Dracula scritta da Mark Gatiss e Steven Moffat. Dopo aver atteso per mesi l’annuncio della data di messa in onda, la miniserie arriva quasi come un regalo di Natale… un po’ in ritardo, ma decisamente gradito!
Io e Sam, ovviamente, non potevamo esimerci dal commentarlo con voi, ecco quindi qui di seguito le nostre impressioni su questo Dracula…

 

Ale: Potrebbe sembrare un controsenso parlare di “nuovo” in questo frangente, visto che in quasi un secolo e mezzo di versioni di questo classico della letteratura gotica se ne sono viste in tutte le salse e in vari medium diversi, ma il Dracula che ci regalano le menti già dietro a Sherlock non poteva che essere qualcosa di ben allineato ad alte aspettative.
Questa miniserie in tre episodi “cinematografici” (gli autori riprendono da Sherlock anche il format) si presenta infatti fin da subito originale a suo modo, pur mantenendo alcuni dei pilastri della mitologia creata da Bram Stoker nel suo romanzo e alcune delle citazioni più iconiche.

La serie sembra in parte snellire alcuni aspetti della trama originale concentrandosi invece su altri, andando anche a sfoltire il già non eccessivo numero di personaggi coinvolti nella vicenda del Conte Dracula e del suo viaggio dalla Transilvania all’Inghilterra. Mina e Jonathan, ad esempio, non vanno oltre il primo episodio: un disappunto nel caso dei lei, che perde la centralità del romanzo in un minutaggio relativamente breve e quasi inutile, riacquistando appena un po’ di spessore grazie alla caparbia decisione di istituire la Fondazione Jonathan Harkness una volta tornata in patria che ci viene rivelata nel terzo episodio; la morte di Jonathan al castello e il fatto che quando lo vediamo per la prima volta non è soltanto un uomo avvizzito dal ripetuto contatto con il Conte, che si è nutrito della sua linfa per acquisire vigore, ma una creatura già tramutata in un adepto del vampiro è invece a mio avviso uno dei primi buoni twist di questa versione. Nel passato personaggi come Sir Holmwood e Quincey Morris vengono appena nominati en passant, mentre scompaiono del tutto altri come il dottor Seward, Renfield e Lucy, ripresentati in veste moderna solo nell’ultimo episodio.

Personalmente ho apprezzato la scelta narrativa di dare maggior spazio a quello che è il confronto principale all’interno della storia: quello tra Dracula e Van Helsing, “la bestia” contro l’uomo di scienza incuriosito dall’occulto… solo che qui si tratta di una donna di scienza. La figura ambigua di questa suora pragmatica, risoluta e apparentemente priva di fede incuriosisce fin da subito, tanto che a ogni intervallo del racconto di Jonathan non si può non continuare a chiedersi chi sia. La rivelazione del suo cognome è la brillante (e a quel punto quasi ovvia) conclusione di un percorso mentale che gli autori ci invitano a fare con i personaggi: se non Van Helsing in persona doveva trattarsi per forza di qualcuno di strettamente collegato alla tradizionale nemesi di Dracula.
I tre episodi sono fondamentalmente la rappresentazione di tre campi di battaglia su cui i due personaggi, in un certo qual modo anche attratti l’uno dall’altra, si sfidano a colpi di astuzia: il convento, il viaggio in mare e l’arrivo ai giorni nostri.

Quello che nel romanzo era un passaggio di “cronaca” relativamente contenuto, ovvero l’arrivo della nave Demeter a Whitby (raccontato nell’estratto di un quotidiano all’interno del diario di Mina), occupa qui lo spazio di un intero episodio che ce ne racconta i retroscena… e perché no, d’altronde? Quanto accaduto sulla “nave fantasma” proveniente da Varna prima di approdare in Inghilterra non può che suscitare la curiosità di menti come quelle di Moffat e Gatiss, che danno il via a una “mistery story” quasi sulla falsariga di un racconto della Christie e la infarciscono di personaggi che sembrano uscire dallo schermo già a pochi minuti dalla loro introduzione. Ho apprezzato anche l’omaggio a Polidori, grazie all’inserimento del personaggio di Lord Ruthven (che tuttavia, a fine visione, con il protagonista di Vampyre sembra condividere davvero solo il nome e lo status pseudo-altolocato).

La trasposizione della storia nel ventunesimo secolo nel terzo episodio, infine, arriva a scuotere quella sorta di familiarità che ci aveva avvolti nei primi due, e per quanto non possa dire di non averla apprezzata affatto (ho adorato il finale, pur percependo una certa nota di “frettolosità” nel resto), trovo comunque “The Rules of the Beast” e “Blood Vessel” di un livello decisamente superiore e senz’altro meglio riusciti di “The Dark Compass”.
Quest’ultimo episodio permette di reinserire personaggi classici fino ad allora omessi, che ricalcano però perlopiù schemi introdotti da altri medium successivi al romanzo: Renfield ad esempio (cominciavo già a preoccuparmi per l’assenza di Gatiss dal cast) appare non come uno dei pazienti di Seward che inizia a mostrare segni di maggiore squilibrio con l’approdo del Demeter, ma come l’avvocato del Conte che quest’ultimo trasforma nel suo “servo” (rilettura vista già in altri film), cosa che però potrebbe in questo contesto provocare qualche fronte aggrottata in quanto a realismo. Ritroviamo poi il poligono amoroso (qui semplicemente triangolo) tra Jack Seward (giovane medico, non proprietario di un manicomio… per ovvie ragioni), il texano Quincey (quasi non pervenuto quanto a personalità) e Lucy Westenra. Quest’ultima ricalca la versione più “spregiudicata”, evidentemente più appealing per autori e pubblico, che ne è stata fatta in diverse rappresentazioni cinematografiche anziché quella della ragazza dall’indole fondamentalmente buona e quasi naif raccontata da Stoker. Devo confessare che la centralità che si è col tempo attribuita alla figura di Lucy e la tendenza a renderla una “mangiauomini” tra una trasposizione e l’altra è forse l’unica cosa che non incontra pienamente il mio gusto, soprattutto quando apparentemente fine a se stessa (per quanto qui ci venga spiegato a chiare lettere quale sia la caratteristica della ragazza che attira Dracula, che anziché la sua purezza diventa qui la sua superficialità e quasi sfrontatezza, perfino davanti alla morte, purtroppo non ho trovato il delineamento del personaggio abbastanza convincente. È questo il principale motivo del mio scarso gradimento, non la mancanza di attinenza al personaggio letterario, d’altronde abbastanza piatto e che così com’era non avrebbe funzionato bene in questo contesto contemporaneo).
Mentre l’esperimento analogo fatto con Sherlock è senza ombra di dubbio un capolavoro del genere, nel caso di Dracula la scelta di spostarsi ai giorni nostri può lasciare perplessi se non intrapresa in un certo modo. Le idiosincrasie del personaggio di Conan Doyle e ciò che lo circonda nel canone funzionano piuttosto bene anche nella nostra quotidianità, mentre la classicità del Conte Dracula ha un che di difficilmente sradicabile dal proprio contesto di origine. Trattandosi di un esperimento narrativo è ovviamente interessante da seguire per gli appassionati e ben venga il tentativo, ma nel mio caso il dubbio principale è stato, come detto, dovuto al fatto che, nonostante il cliffhanger sul finale del secondo episodio facesse pensare al colpo di genio, l’effettivo sviluppo dell’episodio finale ha un che di raffazzonato. Avrei preferito maggior tempo per abituarmi al cambio di ambientazione (magari anche solo un episodio in più) oppure, se proprio si voleva trasferire il personaggio del Conte nella contemporaneità per la sola durata dell’ultima parte, probabilmente avrei gradito si mantenesse il focus unicamente sul confronto tra lui e la discendente di Agatha (e indirettamente con lei) com’era stato fatto fino ad allora, rinunciando ai personaggi di contorno e alle loro vicende (di cui comunque non avevo eccessivamente sentito la mancanza fino a quel punto).

A conclusione di questi tre episodi, quindi, ciò che ha senz’altro colpito di più è a mio parere lo studio che viene fatto della personalità del vampiro e il suo legame atipico con Van Helsing, che qui culmina in un interesse quasi morboso. Il finale poi, in cui vengono sfatati miti e messe a nudo le paure radicate della “bestia”, è a dir poco meraviglioso e intriso di triste poesia.

In un cast di volti più o meno noti spiccano a mani basse i due protagonisti: l’arguta Van Helsing (Agatha/Zoe) interpretata da Dolly Wells e, ovviamente, Claes Bang, il cui Conte Dracula mescola abilmente eleganza e nefandezza, più una certa dose di sensualità (che sebbene quasi totalmente assente nel romanzo è ormai entrata a pieno titolo nell’immaginario collettivo, anche grazie a rappresentazioni come quella di Coppola). Questo Conte è un personaggio mefistofelico e dalla spiccata (e da me personalmente apprezzata) ilarità dark, con quel tocco estetico “classico” che richiama a tratti i Dracula di Bela Lugosi e Christopher Lee. Mi è piaciuto inoltre il dettaglio del sangue che è vite ed è in grado di trasmettere al vampiro conoscenze e ricordi della vittima.

Le ambientazioni e l’atmosfera in generale, soprattutto quelle più classiche dei primi due episodi, ricreano perfettamente quel velo di inquietudine che non ci si può non aspettare da un prodotto ispirato a questo romanzo. Mi è inoltre piaciuto il ritmo della narrazione e il dispiegamento della trama basato inizialmente perlopiù su dialoghi e flashback (in particolare il lungo sogno di Agatha con la partita a scacchi in “Blood Vessel”) che, vagamente, sembrano rimandare al formato del libro di Stoker, in cui le vicende ci vengono raccontate in maniera indiretta attraverso estratti di diari dei personaggi e scambi epistolari tra di essi.
Gatiss e Moffat riescono dunque ancora una volta a reinventare un classico immortale (no pun intended) della letteratura in chiave moderna, non senza sbavature ma con adattamenti e quella giusta dose di modifiche che lo rendono appetibile anche a chi conosce la storia originale a menadito e pensava di non poterne più essere sorpreso, senza mai snaturarne del tutto personaggi e situazioni.
Direi che la loro promessa di lanciare il 2020 con un Capodanno all’insegna dell’horror è stata pienamente mantenuta!

Sam: Satana and Statana’s best friend, anche conosciuti come Steven Moffat e Mark Gatiss, sono tornati dopo tre anni dall’ultima stagione di Sherlock con un altro classico della letteratura, ovvero il capolavoro di Bram Stoker, Dracula. E lo hanno fatto in grande stile.

Premessa: dimenticate il Dracula romantico di Francis Ford Coppola, che per creare il suo meraviglioso film aveva sì adattato il romanzo dell’autore irlandese, ma vi aveva aggiunto la dose della leggenda, alleggerendo così la malvagità del Conte. In questo senso, Moffat e Gatiss si sono attenuti di più al romanzo. Certo, sono comunque stati apportati cambiamenti per permettere il passaggio dalla carta allo schermo e creare così una loro versione della storia di Stoker, molti personaggi sono stati sfoltiti, ma d’altro canto qualunque storia nata sulla carta che viene portata sullo schermo necessita di cambiamenti. Inoltre, il Dracula di Stoker è un romanzo epistolare, il cui adattamento è dunque ancora più complicato.
Nonostante qualche difetto (presente soprattutto nella terza e ultima parte della miniserie), tuttavia, siamo di fronte a un’altra bellissima versione del vampiro per eccellenza.

La prima puntata è sontuosa, in perfetto equilibrio tra l’horror (questa è una storia horror, dopotutto) e l’avventura avvincente nonché il mistero da svelare, con un meraviglioso tocco di umorismo totalmente nero. Alla fine del primo episodio si è entusiasti: il personaggio di Jonathan Harker è arricchito e reso in qualche modo eroico, sebbene alla fine non si possa fare a meno di esclamare “E ti pareva se non combinava il disastro!”; la trovata di sorella Agatha che diventa Van Helsing è geniale (è evidente che Steven Moffat abbia un debole per le donne forti, sagaci e indomite… forse perché ne ha sposata una? Sue Vertue sembra rientrare perfettamente nella descrizione); l’umorismo, come si diceva, è strepitoso e Claes Bang è a dir poco perfetto come Vlad Tepes, Conte Dracula, risultando non solo elegante, magnetico e carismatico, ma “deliciously evil”.

La seconda, espandendo quella che nel romanzo è una piccola parte e aggiungendo personaggi che sono anche un omaggio alla letteratura di genere, permette di costruire una vivida rappresentazione dell’orrore che persone normali vivrebbero se poste in una situazione di forzata convivenza non solo con qualcuno come Dracula, ma tra di loro, in un contesto così drammatico. Molto emerge, infatti, di questi personaggi, c’è un implicito approfondimento della natura e psicologia umana che si manifesta nelle varie situazioni della vita quali il pericolo, l’incertezza, la tensione. A questo si affianca la rappresentazione e l’analisi dello stesso Dracula: è in pratica su questo che verte l’episodio, è uno studio sul personaggio attraverso il suo “duello” con Agatha iniziato nella prima puntata e che continuerà sino alla fine, le sue interazioni con i personaggi a bordo della Demeter, la loro stessa scelta.
L’apertura della puntata, poi, con il discorso su cosa renda un libro una degna lettura e sull’essere lettore è meravigliosa, nonché una strizzata d’occhio al fatto che questa storia (per come è) è nata proprio come romanzo e che lui, in tale versione, è un personaggio letterario.

Con la terza e ultima puntata il duo autoriale britannico per eccellenza si discosta maggiormente dal romanzo.
La scelta, introdotta dal cliffhanger finale del secondo episodio, è certamente spiazzante e può suscitare una sorta di “estraniazione”, essendosi immersi ormai totalmente nell’ambientazione classica. C’è da dire che non è niente di diverso rispetto a quanto fatto con Sherlock e il Canone di Arthur Conan Doyle e, sebbene nel romanzo ovviamente non si arrivi all’era contemporanea e non vi sia dunque alcuna Fondazione Jonathan Harker che studia i vampiri e vuole mettere le mani sul Conte Dracula, vi sono in ogni caso le linee generali del libro: l’entrata in scena di Renfield, Van Helsing che, con l’aiuto di altri, dà la caccia al vampiro, il triangolo che coinvolge Lucy Westenra con lei che va incontro al tragico destino e la caduta di Dracula.
Bisogna ammettere, in verità, che dei tre questo è sicuramente l’episodio meno riuscito: forse a causa dell’improvviso cambio di ambientazione che coglie alla sprovvista, ma è inevitabile avvertire una sensazione di accelerazione e di chiusura improvvisa. Ci sarebbe stato bisogno di un quarto episodio per permettere di abituarsi al cambio di ambientazione e apprezzarlo davvero come di certo sarebbe stato possibile visto che, per l’appunto, non è niente di diverso da quanto già visto con Sherlock, oppure si sarebbe dovuta realizzare tutta la miniserie ai giorni nostri.
L’episodio, pertanto, può piacere o meno, la scelta stilistica può essere condivisa o meno, ma ci sono aspetti positivi anche in questo: la versione di Lucy Westenra è piuttosto azzeccata, con un finale che almeno la fa evolvere. Infatti, la ragazza superficiale e indifferente a tutto finalmente sente e mostra una qualche profondità proprio nel momento peggiore; il finale è splendido e risolleva da solo tutto l’episodio, nel senso che ne colma i difetti. Il monologo di Agatha è uno dei momenti migliori di tutta la miniserie e le ultimissime scene, con la scelta del Conte Dracula, sono persino poetiche, nonché piuttosto in linea con quanto traspare dal romanzo, dove anche per Dracula la morte sembra portare un qualche sollievo.

In conclusione, lo show è promosso nonostante un episodio finale non all’altezza dei due che lo hanno preceduto, proprio grazie alla mise en scène generale, alla complessiva scrittura che da parte di Steven Moffat e Mark Gatiss non delude praticamente mai e a un interprete davvero perfetto per l’iconico ruolo del Conte Dracula. Anche se potevate darci di più per la parte finale, well done again, Moftiss.

Per chiudere: avete notato i due easter egg? Il primo da Doctor Who: Mina cita la barista del Rose & Crown nella sua lettera iniziale a Jonathan. Il secondo da Sherlock: Agatha dice a Jonathan di essere riuscita a risalire ala sua identità anche grazie a una conoscenza che ha a Londra, un detective.

Bene, questo è tutto per Dracula. E ora non ci resta che aspettare l’annuncio del prossimo progetto del malefico ma geniale duo.
(Magari uno speciale di Sherlock? Il cuoricino dell’addicted non si arrende mai.)

Non dimenticate di passare dalle nostre favolose pagine amiche per avere tanti aggiornamenti sulle serie made in UK e non solo!

Gli attori britannici hanno rovinato la mia vita  – The White Queen Italia – Fraciconia The Anglophiles’ Lair 

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Manifest – Recensione inizio seconda stagione: dove eravamo rimasti?

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Dopo diversi mesi da quel colpo di pistola, la seconda stagione di Manifest inizia esattamente da dove ci aveva lasciato… il colpo di pistola, appunto.

Quindi, dove eravamo rimasti? Lo show era partito con uno pseudo-incidente aereo, e se uno già pensava di esultare (o disperare) per l’ennesimo novello Lost vediamo presto come il mistero principale della storia si evolve in direzioni diverse (e meno male direi, perché ogni volta che ho sentito parlare di “novello Lost” poi mi sono trovata davanti a un disastro dopo l’altro… quindi anche basta). Oltre al fatto che i passeggeri sopravvissuti alla turbolenza del volo 828 sono misteriosamente saltati in avanti di cinque anni e mezzo mentre il resto del mondo li aveva dati per morti, il punto interessante esposto fin da subito sono le possibili connessioni psichiche che intercorrono tra loro, e quelle che alcuni definiscono “chiamate”. Abbiamo personaggi che si lasciano guidare da queste chiamate e altri che ne fuggono, chi cerca di comprendere e chi ne è terrorizzato… e chi semplicemente sceglie di ricercare quelle stesse condizioni per riprodurre la scomparsa e vedere che ne sarà (comandante Daly, avremo mai più tue notizie?). In più con il passare degli episodi conosciamo anche altri personaggi al di fuori della cerchia dei passeggeri che hanno comunque sperimentato un salto nel tempo analogo al loro, seppure in modi diversi, con la comparsa di visioni simili.

Senz’altro il lato umano di una tragedia come la scomparsa di un familiare o un amico e il suo misterioso ricomparire anni dopo, il riadattarsi di queste persone e di chi gli sta intorno a una quotidianità che è nel frattempo (e comprensibilmente) evoluta senza di loro è già di per sé un interessante punto narrativo da esplorare, ma la componente sci-fi (cosa ha causato il salto temporale, quali sono esattamente le conseguenze a cui stiamo assistendo, perché sembrano soffrirne anche persone non interessate dall’incidente come Zeke nella grotta?) ne aumentava la fascinazione nel mio caso.
Un primo disappunto in questo senso? La serie, che aveva tutto il potenziale per essere un buono show di tipo corale, non si è mai scollata troppo dal perno della famiglia Stone. Capisco che avere dei protagonisti più di spicco è importante, però ho avuto a volte l’impressione che anche potenziali aggiunte intriganti venissero liquidate in due secondi per lasciare il focus perlopiù su Ben, Michaela e l’inquietantissimo Cal (se dite che quel bambino non disturba i vostri sogni mentite!).

Mi sembra che questo modus operandi si stia riconfermando anche all’inizio di questa seconda stagione: per quanto la rivelazione finale di Cal riguardo la “data di scadenza” dei passeggeri del volo 828 avesse dato alla storia quel twist conturbante di cui aveva disperatamente bisogno, la premiere della seconda stagione di Manifest non fa grandissimi passi avanti. Abbiamo, anzi, un ripetersi di schemi già visti: Ben e Michaela che indagano per rintracciare due dei tanti passeggeri scomparsi, li trovano, li aiutano a capire il senso delle “chiamate”, lieto fine per un po’ poi colpo di scena di fine episodio.
Ecco, di tutta la première il finale è forse l’unica cosa non estremamente telefonata e che mi ha sorpresa favorevolmente: la ricomparsa di Vance, dato per morto nella 1×09.

Per il resto, quel poco minutaggio concesso a Saanvi è penoso, e il Maggiore che suggerisce una possibile cotta della sua “paziente” per Ben lo trovo personalmente un pessimo risvolto: ribadendo il concetto di show corale, mi sarebbe piaciuto vedere evolvere questo personaggio in modo correlato ai principali ma rimanendo a suo modo indipendente, senza far rimanere anche lei invischiata nella soap opera della famiglia Stone.

A questo proposito, la gravidanza di Grace non può che rendermela ancora più odiosa di quanto già non fosse nella prima stagione: io posso provare a immedesimarmi in tutti i modi possibili nella situazione tragica che ha vissuto (l’improvvisa perdita del marito e di un figlio, ma con un’altra figlia ancora a carico da crescere al meglio nonostante il dolore per entrambe, i potenziali sensi di colpa per aver permesso a Ben di imbarcarsi su un aereo diverso ecc.), ma già dopo i primi tre episodi di “tu non c’eri”, “cinque anni senza di te” e chi più ne ha più ne metta, quasi a voler colpevolizzare quel povero Cristo che di certo non ha scelto di trovarsi nella situazione in cui è stato catapultato, mi sono trovata a dover gettare la spugna e a dichiararla tra i personaggi più insopportabili dello scorso anno televisivo. Questa première riconferma anche questa sensazione: non ne fa una giusta neanche per sbaglio! Ora il dubbio sulla paternità di questo bambino rischia di ricreare fratture all’interno di una famiglia da poco rimessa in piedi con fatica, senza contare l’aggiunta della notizia di una gravidanza fallita durante il periodo di assenza di Ben perché “Denny voleva davvero avere un figlio”. Io non avrei fatto passare neanche mezzo minuto prima di prendere la decisione che lei arriva a prendere solo a fine episodio!! Siamo nel 2020, ci sono tecniche per conoscere il DNA di un nascituro ben prima che venga al mondo, perché diavolo prolungare l’agonia di un’intera famiglia con questo “vedremo di chi è quando nascerà” se puoi toglierti il dente già adesso? Sul serio, perché mai? Per godersi “questo momento solo nostro”? Sa molto di nascondere lo sporco sotto il tappeto pur sapendo che prima o poi dovrai comunque spostarlo per pulirci… Grace: WORST. CHARACTER. EVER. A mani basse, proprio…

Come dicevo l’episodio di per sé non dà molto spazio a sorprese se non sul finale, anche il fatto che la pallottola volante nel finale della scorsa stagione se la fosse presa Michaela mi sembrava piuttosto ovvio. Mi incuriosisce però vedere come questa seconda stagione di Manifest intenda far evolvere il suo rapporto con Zeke relativamente alle visioni: Cal sembra più volte suggerire che i due devono stare insieme, ma più che in senso romantico pare intenda in senso pratico, ovvero per risolvere almeno in parte il mistero delle “chiamate” e questa nuova spada di Damocle della data di morte preannunciata… e onestamente è questo il rapporto che mi interesserebbe di più esplorare, decisamente più del presunto triangolo con Jared.

L’introduzione del “timer” per venire a capo del mistero che li collega tutti fin dalla turbolenza del volo 828 è senz’altro un elemento che può dare incisività alla vena sci-fi di questa serie, se elaborato bene e con un paio di altri aggiustamenti (maggiore coralità, come già detto, e magari anche una delineazione migliore di questo villain, perché senza un buon antagonista – che non sia solo “il tempo tiranno” e in primis il Fato che ha gettato questa gente in questa situazione inspiegabile – una storia qualsiasi rischia di perdere gran parte del suo interesse) magari in questa seconda stagione Manifest può crescere e passare a un livello superiore.
Io senz’altro ci spero, perché nonostante qualche mancato exploit durante la prima stagione continuo a seguire questo show con interesse e con una certa fiducia che, se deciderà di giocare bene le sue carte, possa davvero rivelarsi degno di nota.

Ci vediamo fra qualche settimana per commentare insieme gli andamenti di questa seconda stagione di Manifest una volta giunti più o meno a metà. Intanto vi invito a farmi sapere qui sotto nei commenti cosa ne pensate di questa première e quali sono le vostre ipotesi e le vostre aspettative per il seguito.
Alla prossima!

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Luna Nera | Recensione del pilot: delusione o apripista di genere?

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A qualche giorni dal rilascio dell’intera serie su Netflix, ho deciso anch’io di lanciarmi nella visione di Luna Nera, il cui trailer mi aveva molto incuriosita qualche mese fa.

Avevo deciso di mettere questa serie in lista per innumerevoli motivi, non ultimo il fatto che fosse una produzione originale Netflix interamente italiana dedicata a un genere finora alquanto inedito a casa nostra, ovvero il fantasy. Il trailer sembrava promettere una trama intrigante ed effetti speciali quasi all’altezza di una produzione d’oltreoceano, che non ci avrebbero fatto sorridere a un goffo tentativo di emulazione senza averne davvero i mezzi.
Conclusa la visione del primo episodio, sono seriamente in bilico se proseguire con la visione (dopotutto si tratta di soli sei episodi) o se arrendermi qui. Ecco i motivi…

LUNA NERA: NOTE STONATE

Il problema di Luna Nera è, come spesso accade con le produzioni nostrane, un vago senso di superficialità in ambiti come la sceneggiatura e, in questo caso in particolare, il cast. Tolte alcune notevoli eccezioni (le streghe che accolgono Ade nella città segreta nel cuore della foresta), per il resto i protagonisti faticano a farsi apprezzare dal mio orecchio per via di una recitazione quando sottotono e quando invece eccessivamente teatrale per il medium televisivo. La stessa protagonista, per quanto brava, non è riuscita a trasmettermi empatia in questo primo episodio. Forse per via del fatto che a questo punto della storia la ragazza è ancora agli albori del suo percorso di accettazione della sua vera natura… si presume che sarà nei prossimi episodi che affronterà un cammino di crescita che la farà maturare e raggiungere un certo spessore espressivo, ma al momento per me manca ancora quella connessione.
Pervenuta meno di zero invece questa apparente scintilla di passione tra la giovane e Pietro, quello che immagino sarà il principale personaggio maschile: di per sé una figura interessante questo ragazzo dedito allo studio scientifico per abbattere le superstizioni dell’epoca, ma l’interprete sembra mancare di quel quid in più che lo potrebbe rendere un personaggio perfettamente tridimensionale.
Al momento, quindi, ciò che sembra puntare verso una sottotrama romantica della storia è una serie di incontri fortuiti di mezzo minuto ciascuno, con poco approfondimento e la netta sensazione che, nonostante ciò, si darà alla storia d’amore più spazio di quello che potrebbe interessare agli spettatori… potrei sbagliarmi eh, è solo una sensazione.

MANCANZA DI CONTESTO SPECIFICO

Tornando alla recitazione, confesso qui di aver fatto una cosa inaudita: dopo circa cinque minuti di puntata sono dovuta intervenire sull’audio e sono passata alla versione doppiata in inglese per disperazione. Ciò mi porta a un paio di valutazioni random: innanzitutto, devo dire che questi doppiatori inglesi proprio pessimi non sono; secondo, la visione così si è resa quasi più fluida rispetto a prima (la colonna sonora in inglese ha aiutato a non far sentire uno stacco troppo netto con i dialoghi). Mi sono chiesta per un po’ se questa percezione fosse da considerare un pro o un contro di Luna Nera, e alla fine mi sono risposta che un contesto narrativo indistinto tanto positivo non possa essere: l’audio in inglese non disturba eccessivamente perché, tolti i nomi italiani dei personaggi (ma anche quelli, essendo piuttosto “arcaici”, non suonano comunque eccessivamente fuori posto in uno show ambientato secoli fa), alla storia non viene dato immediatamente un contorno ben delineato. Uno dei primi cambi di location ci mostra uno scorcio di Roma antica, con vista di Castel Sant’Angelo e, visibile e perfettamente integra in lontananza, la Cupola di San Pietro… il che, a meno che non ci troviamo ne I Tudor [historical accuracy nazi mode: ON], farebbe presupporre un periodo successivo al Cinquecento. Veniamo quindi trasportati in una pseudo-aula di studio in cui degli allievi vengono invitati a esaminare un cadavere e a dedurre se sia stata una malattia o un “maleficio” a uccidere l’uomo. Il discorso che ne segue fa intuire un contesto storico proto-Illuminista, quindi si fa strada l’idea di trovarsi poco prima del Settecento. Come prova del nove verifico con una sinossi del libro da cui è tratta la serie, che in effetti mi conferma che ci troviamo nei dintorni di Roma nel Seicento.
Ora, la mia piccola obiezione è questa: quanto poteva costare mettere una minuscola indicazione di tempo e luogo in sovrimpressione? Potrebbe sembrare una piccolezza ma credo che l’inquadramento storico-culturale di un prodotto di questo tipo sia importante: Roma, centro del Cattolicesimo, in epoca di oscurantismo… con la stregoneria come tema centrale della serie trovo che dare subito un’indicazione di questo tipo allo spettatore sia anche importante per settare le aspettative sul tono della storia, su che tipo di intrighi e giochi di potere possiamo aspettarci, quali sono le convinzioni dominanti dell’epoca ecc. (a meno che, certo, non si punti in una direzione del tutto diversa…).
Invece, tolto lo scorcio teverino, per gran parte dell’episodio ci si sente come se la storia avrebbe potuto essere ambientata un po’ ovunque.

LUNA NERA: LATI POSITIVI

Detto questo, la regia e la fotografia sono davvero ben fatte (sottolineo, in un periodo di critica per una generale mancanza di varietà di genere nelle nomination più tecniche a premi internazionali di lustro come Oscar e Golden Globe, che in Luna Nera questi reparti sono in mano a una squadra di talento quasi interamente al femminile). Ho inoltre apprezzato le location e i costumi, e l’attenzione alla credibilità degli effetti speciali sembra rispecchiare quanto promesso dal trailer.
Ciò che però ancora manca, per quanto mi riguarda, è un coinvolgimento più profondo, quello che potrebbe spingermi a dire “sì, voglio saperne di più”. Purtroppo si percepisce un senso di frettolosità e, come anticipato a inizio articolo, quasi di superficialità nella scrittura.

Magari è presto per dirlo, ma al di là di un generale senso di delusione per un inizio al di sotto delle aspettative, una parte di me non può che ribadire quanto già affermato in occasione dell’uscita de I Medici, con conseguenti critiche piovute da tutti i fronti per questo o quel difetto: è bene evidenziare ciò che può essere migliorato, perché è giusto voler puntare a una qualità che rifletta quella a cui siamo abituati con produzioni internazionali, ma dall’altro lato non me la sento neanche di stroncare per partito preso un prodotto che, si spera, possa essere un apripista per altri dello stesso genere, al momento latitante nei palinsesti italiani.

 

Quanti di voi hanno già visto il pilot di Luna Nera, o magari ne hanno già ultimato la visione? Avete pareri simili o la pensate diversamente, quali sono per voi i meriti e demeriti di questa serie? Aspetto di leggere le vostre opinioni qui sotto nei commenti (data la natura dell’articolo invito comunque a segnalare lo spoiler qualora si menzionino fatti da episodi successivi al primo).
Alla prossima!

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10 memorabili momenti musicali in serie non musical

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Bentornati nell’angolo delle Top10 cari addicted! Questa settimana ci concentreremo sui momenti musicali di varie serie tv che sono diventati tra i più iconici, divertenti, commoventi e in qualche modo impossibili da dimenticare (almeno per me).

Premetto che, come nell’articolo analogo presentato da The Lady and the Band qualche tempo fa (fantastiche proposte tra l’altro, vi consiglio di recuperarlo se ve l’eravate perso), anche qui terrò in considerazione solo momenti integrati nella trama, a volte quasi random, ma comunque slegati da un tema musical più generale. Sono quindi ovviamente esclusi episodi interamente musicali in stile “Once More With Feeling” di Buffy o “My Musical” di Scrubs (di cui vorrei parlare in separata sede) o serie appartenenti al genere musical come Glee, Galavant ecc. (anche in questo caso, ci saranno articoli a sé).

Risaliamo quindi la mia personale classifica dei migliori momenti musicali in serie non musical verso il podio di quelli che sono, al momento, i miei preferiti:

 

10) Living with yourself – Miles & Kate wedding routine

Per chi si è perso questa breve serie distribuita da Netflix con protagonista un doppio Paul Rudd, in breve la storia è quella di un giovane sopraffatto da vita e lavoro che si fa convincere da un collega a passare una giornata in un ambiguo centro benessere che, miracolosamente, dovrebbe rimetterlo in sesto. Solo che nel tornare a casa Miles scopre che ad essere rinato non è lui, bensì un suo clone rivisto e migliorato che ha preso il suo posto. Le dinamiche che ne scaturiscono potrebbero sembrano prevedibili ma in realtà prendono spesso svolte inaspettate e, nonostante sia stata spesso descritta come una pseudo-comedy, la trama ha a tratti anche contorni più dark. Il motivo per cui ho scelto questa scena è non solo perché la trovo adorabile di per sé, ma ha risonanza soprattutto conoscendo il contesto della storia… in particolare ricordando come “l’altro” Miles avesse provato poco prima con scarso successo a ricreare con Kate la routine del loro matrimonio, è alquanto d’impatto vedere la ragazza divertirsi così con “il suo” Miles…

9) Friends – Ross, Chandler e Joey ballano “The Lion Sleeps Tonight”

Friends offre un ventaglio di momenti musicali così ampio che si potrebbe scrivere una Top10 apposita e comunque non riuscire a citarli tutti. Anche solo pensando alla lista di hit improvvisate da Phoebe qua e là, oltre all’evergreen “Smelly Cat”, ci sarebbe da sfogliare video su YouTube per ore! Personalmente sono stata a lungo indecisa tra momenti musicali “storici” come la routine dei fratelli Geller e altri più en passant come Chandler che canta Lionel Richie (con il controcanto di Phoebe) o questo momento di puro e sano fancazzismo che potremmo tranquillamente essere noi al pub con i nostri amici. Alla fine ho scelto questa scena semplicemente per la naturalezza con cui il balletto improvvisato si inserisce nella trama… senza contare la naturalezza con cui è stato provato che le movenze dei tre potrebbero adattarsi a molti diversi tipi di musica!

8) Ally McBeal – Ally balla con il Dancing Baby

Ally McBeal è un’altra serie che non ci ha fatto mancare momenti bizzarri all’interno della trama, per cui ricordare scene in cui i protagonisti si esibiscono in balli o canti improvvisati non è difficile. Sebbene le scelte fossero molte, però, pensando a momenti musicali in questo telefilm la prima canzone che mi veniva in mente continuava a essere “Hooked on a feeling” con il creepy Dancing Baby (cari Millennial, è qui che sono nati i fenomeni mediatici virali). Quindi posterò il video in cui Ally si lascia andare a ballare con il bambino della sua ricorrente allucinazione… anche per dimostrare che quell’ologramma che mi ha dato gli incubi per settimane non mi fa più paura xD

7) The Big Bang Theory – Raj & Bernadette Bollywood dance

La serie più geek degli ultimi anni ha dispensato momenti musicali di tono diverso nell’arco del suo decennio in onda, dal “carpool karaoke” di Amy e Howard sui più famosi pezzi di Neil Diamond al pianobar di uno Sheldon particolarmente su di giri. Nel momento di fare una scelta, tuttavia, il mio cuore mi ha portata a scegliere questa esilarante scena dalla 4×14, puntata disseminata di momenti in cui Raj si immagina con Bernadette (un rapporto ambiguo, quello con la ragazza e poi moglie del suo migliore amico, che ci porteremo dietro a fasi alterne anche in vari episodi futuri). Tutti i flash precedenti avevano avuto un che di realistico fino alla rivelazione finale, mentre questo è così sopra le righe fin dall’inizio da essere a dir poco geniale. Chi non avrebbe mai voluto vedere Raj in pieno stile Bollywood?

6) Brooklyn 99 – I want it that way

Un’altra tra le serie comedy più divertenti degli ultimi tempi, Brooklyn 99 è strapiena di parentesi eccentriche, anche grazie alla singolarità di ciascuno dei personaggi principali. Questa divertentissima scena (la cui assurdità nel contesto nero di un’indagine per omicidio è ben sottolineata dalle espressioni dubbiose dei sospettati davanti alla strana richiesta) si inserisce all’interno della trama senza preavviso e con naturalezza disarmante, come solo l’estro di Jake Peralta può fare, e crea un momento wtf da risate assicurate!

5) Game of Thrones – Jenny of Oldstones

Da una scena esilarante a momenti musicali che emozionano per ben altri motivi, non potevo non citare uno dei pochi ricordi piacevoli dall’ultima stagione di Game of Thrones. Parlo ovviamente di Pod (alle cui misteriose doti amatorie va forse aggiunta una voce non male che lo aiuta ad “ammaliare le sue prede”) che attacca una struggente ballata le cui note vanno ad avvolgere tutti i presenti a Winterfell, in uno dei momenti più bui della lunga notte in trepidante attesa della battaglia contro il Night King.
Le stesse note le sentiremo nuovamente a fine episodio, ma cantate dall’inconfondibile voce di Florence Welch… davvero uno dei momenti musicali dello show meglio riusciti a livello di atmosfera.

4) How I Met Your Mother – Nothing suits me like a suit

Torniamo a un ritmo più spensierato per un indelebile momento musicale di questa longeva sit-com della CBS. Non si può avere Neil Patrick Harris nel cast e impedirgli di cantare e ballare, e HIMYM ha sfruttato questo scoppiettante talento al meglio per coronare il traguardo del centesimo episodio della serie: costretto da un ultimatum a scegliere tra la sexy barista e i suoi amati completi che però lei non sopporta, nella sua testa Barney si lancia in questo numero in stile Broadway, accompagnato dal resto del cast principale e una miriade di figuranti. Tuttora un momento iconico della serie!

3) Pushing Daisies – Hopelessly devoted to you

E già che ho menzionato Broadway, anche una serie che può vantare Kristin Chenoweth nel cast non può che trovare il modo di darle (metaforicamente) un microfono in mano e lanciarla nel suo elemento naturale, con risultati a dir poco eccezionali. È così che quel già adorabile gioiellino di Pushing Daisies si è arricchito con memorabili momenti musicali: pezzi come “Eternal Flame” o brevissime ma comunque geniali parentesi che richiamano Tutti insieme appassionatamente.
La mia scelta per questa lista però non poteva che essere il primo, indimenticabile exploit canterino di Olive:

2) The Umbrella Academy – I think we’re alone now

In fervente attesa della seconda stagione di questa serie, chi ha visto la prima non può non sentire il bisogno regolare di andarsi a riascoltare a ripetizione i brani di una delle colonne sonore meglio riuscite degli ultimi tempi (ve ne avevamo parlato nel dettaglio anche QUI). Probabilmente il momento in cui i fratelli Hargreeves mi hanno davvero conquistata con la loro imperfetta umanità è proprio la scena danzante sulle note del pezzo di Tiffany. Senza bisogno di parole entriamo con immediatezza nella loro personalità, capiamo tutto delle loro identità solo guardandoli ballare ciascuno da solo. Quello che ho adorato di questo momento musicale è il modo in cui è stata costruita l’intera sequenza: il brano non sarà questo granché, ma c’è una certa “nostalgia” da anni ’90 che conquista, ho adorato il montaggio delle scene e infine quell’inquadratura che si allarga e va ad abbracciare l’intera casa, sezionata per mostrarci tutte le stanze quasi come fosse un tabellone di Cluedo. I ragazzi momentaneamente separati ma tutti uniti nel lasciarsi andare al ballo… meravigliosa!

1) Stranger Things – Neverending Story

Non potevo che chiudere la classifica dei migliori momenti musicali nelle serie tv mettendo al primo posto questa sequenza dalla terza stagione di Stranger Things… non fosse altro che per la viralità di questa celebre canzone degli anni ’80! A quanto pare lo stesso interprete, Limahl, è rimasto sorpreso dalla popolarità riacquisita improvvisamente dal brano a decenni dalla sua prima comparsa.
Ma la sequenza è così memorabile, al di là dell’orecchiabilità del pezzo, anche perché è oggettivamente fuori contesto… e per questo ancora più geniale! Stranger Things è davvero una delle poche serie che può permettersi di intervallare un momento di estrema tensione facendo cantare due personaggi via radio in maniera così random e farla risultare comunque una delle cose più fighe mai viste in tv. Le facce incredule degli altri personaggi, poi, sono assolutamente impagabili, la ciliegina sulla torta. Dusty-bun, ti si ama!

Questa è la mia personale classifica dei momenti musicali telefilmici che più mi hanno colpita o che ricordo con maggior piacere per i motivi più disparati, aspetto di leggere i vostri qui sotto nei commenti.
Alla prossima!

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Manifest – Recensione: dove ci sta portando la seconda stagione

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Giunti ormai al settimo episodio di questa seconda stagione di Manifest, direi che c’è modo di fare un bilancio provvisorio della direzione intrapresa in questa annata e, almeno per ora, mi sento di dire che in linea di massima la serie ha scelto di giocare alcune buone carte finora.

Inizio col dire che sto apprezzando l’infittirsi del mistero, che gli autori hanno scelto di diramare in molte direzioni apparentemente slegate tra loro (visioni che poi si riallacciano a chiromanti incontrate casualmente da Olive e Grace durante il periodo di scomparsa di una parte della loro famiglia, che a loro volta rimandano a un personaggio vissuto nel Medio Evo che sembra aver vissuto un’esperienza analoga a quella dei passeggeri del volo 828, ecc. ecc.). Se il dipanarsi delle varie scoperte compiute ogni volta da un personaggio diverso sembrano farci avanzare un micro-passo alla volta, cosa che potrebbe portare lo spettatore a un senso di frustrazione per il non riuscire a trovare appigli su cui fondare delle proprie teorie, devo dire che nel momento in cui un’apparente casualità trova qualcosa a cui collegarsi si prova un certo senso di appagamento.

Sto apprezzando inoltre il modo in cui tutti si stiano dimostrando, ciascuno a proprio modo, collegati da questo dipanarsi della matassa, che sia partecipando attivamente alla quest o trovandosi con in mano delle risposte per pura coincidenza: si tratta proprio del tipo di coralità che speravo di vedere andando avanti.
Il fatto che la gravidanza stia concedendo a Grace uno spiraglio per collegarsi all’esperienza che suo marito, suo figlio e sua cognata stanno vivendo, ad esempio, l’ha decisamente resa a tratti meno odiosa dal mio punto di vista… un testimone che per un attimo ho creduto sarebbe passato nelle mani di Olive, con il suo sentirsi esclusa dal club delle visioni e il farsi trascinare nella “setta” di Adrian. L’introduzione della new entry TJ ha invece per fortuna (e nel mio caso sorprendentemente, perché gli avrei dato zero fiducia in quanto a possibile appeal narrativo) appianato questa possibile sottotrama fatta di musi lunghi e “voi non mi capite”, facendo sì che il percorso di Olive seguisse il suo naturale decorso attraverso la fase di ribellione e quant’altro, ma senza gettarci in una spirale di già visto (ce la siamo vista brutta con l’accenno all’emancipazione dai genitori, ma la presenza di questo ragazzo come punto di mediazione tra Ben e sua figlia ha senz’altro contribuito notevolmente a smorzare gli animi). Proprio per questo motivo devo dire di essermi (again, sorprendentemente) dispiaciuta molto per la fine che ha fatto nel settimo episodio: aveva del potenziale come aggiunta esterna al nucleo familiare degli Stone e membro di questo improbabile team alla ricerca della verità.

via GIPHY

Come avevo avuto modo di commentare in occasione della premiere di questa seconda stagione di Manifest, il villain “umano” così com’era (rappresentato perlopiù dal Maggiore) non aveva sufficiente presa per poter suscitare il giusto tipo di reazioni da parte dello spettatore, quindi l’aver concentrato questa prima metà di stagione su un cardine diverso, ovvero il focus sui passeggeri e il provare a salvarli dall’incombenza della data di morte, si sta rivelando per ora la scelta più azzeccata a mio vedere. Una serie che si presenta con queste premesse ha per forza di cose bisogno di una forte componente soprannaturale, ed è giusto che si stia perseguendo questo aspetto, seguendo la catena di eventi e rivelazioni che potrebbero portarci alla soluzione del mistero. A questo proposito, se finora gli studi di Saanvi l’hanno tenuta spesso a gravitare a una certa distanza dal resto del team, seguendo un percorso parallelo ma raramente sovrapposto, la scoperta che sembra averla portata a correggere l’anomalia nel DNA dei passeggeri potrebbe aprire nuove porte e condurre a interessanti risvolti nel contesto generale.

Se da un lato questa seconda stagione di Manifest sembra aver accantonato temporaneamente l’idea del governo come main villain, devo dire però che il tornare a mostrarci gli adepti della Chiesa di Adrian e la contrapposizione con chi disprezza i sopravvissuti del volo perché spaventato da ciò che non comprende sembra invece funzionare bene… d’altronde è inutile negare l’interesse narrativo che può suscitare l’avere a disposizione un branco di invasati guidati da uno pseudo-santone e la correlata esplosione di odio e violenza: realisticamente parlando, è decisamente uno dei risvolti più plausibili che si potrebbero verificare in una società come quella americana a seguito di un’evenienza come il misterioso rientro del volo 828… e ciò rende il tutto ancora più disturbante, a tratti. La figura di Adrian in primis ha un che di ambiguo, con questo forzato buonismo da messia, in grado di raccogliersi intorno adepti che lo idolatrano ciecamente. Isaiah, tra questi, era decisamente il più inquietante, ma mi ha comunque sorpreso scoprire che fosse lui autonomamente il fautore del disastro nella 2×07, perché vari accenni nell’episodio precedente mi avevano, appunto, fatto concentrare tutti i sospetti su Adrian: il fargli dire che “un nuovo e più grande miracolo si verificherà” mi aveva fatta sospettare che stesse lui stesso programmando un qualche evento orchestrato ad arte per fare notizia, e la visione finale nella 2×06 che lo mostrava all’esterno dell’aereo schiantato, non notato da nessun’altro, aveva cementificato la mia convinzione che dietro al presunto evento devastante da sventare ci sarebbe stato proprio il capo della “setta”. Buon twist quindi quello di lasciarlo estraneo ai fatti, cosa che permette di mantenere in gioco la figura di Adrian come partecipante attivo nella coralità della trama sebbene sconnesso dal team principale e dal loro obiettivo.

Ad altri sei episodi dal finale della seconda stagione di Manifest, mi sento quindi di dare un giudizio perlopiù positivo alla direzione presa dagli autori con praticamente tutti i personaggi e gli sviluppi generali a loro collegati… perfino la svolta dark di Jared ha un che di intrigante che mi fa dire che anche lui, per cui stavo iniziando a perdere interesse, potrebbe avere ancora qualcosa di buono da raccontare!
Nel complesso aspetto il prosieguo della stagione con fiducia e sperando che il trend si mantenga su questi standard. Aspetto di leggere anche i vostri pareri qui sotto nei commenti: fatemi sapere se le scelte intraprese finora incontrano il vostro gusto e quali sono le vostre aspettative per la seconda metà di stagione di Manifest!
Alla prossima!

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10 guest star in Friends che (forse) non ricordate

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Nei suoi dieci anni di corso abbiamo visto una valanga di volti noti del grande e piccolo schermo alternarsi come guest star in Friends, una delle sit-com (se non LA sit-com) più popolare di tutti i tempi.

Se all’inizio pochi avrebbero potuto immaginare la risonanza che la serie avrebbe avuto negli anni a venire, verso la fine c’è stato un vero e proprio avvicendarsi sempre più denso di personaggi più o meno famosi in ruoli relativamente marginali o comunque relegati a un unico episodio dello show. Tutti ricordiamo perfettamente, ad esempio, come l’allora marito di Jennifer Aniston, Brad Pitt, abbia accettato di comparire nell’episodio del Ringraziamento dell’ottava stagione (in un ruolo in cui, tra l’altro, era previsto che trattasse Rachel con un certo astio per via dei loro trascorsi da ragazzi), o come tutti siamo saltati sulla sedia nello scoprire che il padre della studentessa che Ross stava frequentando nella sesta stagione avesse il volto di nientemeno che Bruce Willis… o, ancora, quando la NBC ha deciso di mandare in onda un doppio episodio post-Super Bowl stellare, infarcendolo di un numero esorbitante di comparse del calibro di Brooke Shields, Julia Roberts e Jean-Claude Van Damme.

Ma tra le guest star in Friends nel corso delle stagioni ci sono stati anche volti che, con il tempo, potrebbero essere stati archiviati nel dimenticatoio, o altri che sono passati inosservati fin da subito solo per accendere una lampadina anni dopo, in occasione di una delle tante repliche in tv.
Eccone dieci che magari non vi saltano subito alla mente quando ripensate alle comparsate più indimenticabili di Friends:

1) Lea DeLaria (2×11 “The One with the Lesbian Wedding”)

Questa potreste averla facilmente dimenticata visto che si tratta di un’apparizione davvero breve. La futura ‘Big Boo’ di Orange is the new black è una degli invitati al matrimonio di Carol e Susan, quella che approccia Phoebe quando la sente dire di sentire la mancanza di Rose… ignara del fatto che la ragazza non si riferisse a una precedente fiamma bensì all’anziana cliente che era morta durante un suo massaggio e di cui credeva di aver “catturato” accidentalmente lo spirito.

2) Charlie Sheen (2×23 “The One with the Chicken Pox”)

Sempre nella seconda stagione vediamo comparire per una puntata anche il futuro Charlie Harper di Due uomini e mezzo, allora già noto per film come Platoon e pellicole meno impegnative come Hot Shots. In questo episodio Sheen è una fiamma di Phoebe che arriva a New York dopo un intero anno passato in un sottomarino, pronto a passare una notte di passione con la ragazza che, però, si è presa la varicella da Ben… i due passeranno il resto della puntata a cercare di non grattarsi le bolle a vicenda!

3) Ellen Pompeo (10×11 “The One Where the Stripper Cries”)

La futura dottoressa Grey ha avuto modo di fare una comparsata in Friends durante l’ultima stagione della serie, nell’episodio dell’addio al nubilato di Phoebe (a cui, tra l’altro, partecipa un improbabile stripper interpretato da Danny DeVito!). La Pompeo è una ex compagna di college di Chandler e Ross, che i due incontrano a una reunion, ricordando di essersi in passato fatti la promessa vicendevole di non provarci… solo per scoprire che Chandler aveva tradito il patto fin da subito.

4) Dakota Fanning (10×14 “The One with Princess Consuela”)

Con una carriera da attrice avviata sin da bambina, negli anni la Fanning è diventata un volto famoso del grande e piccolo schermo: di recente l’abbiamo vista al fianco di Daniel Brühl e Luke Evans in The Alienist. Nella sua comparsa come guest star in Friends aveva appena 10 anni e ha interpretato la figlia dei precedenti proprietari della casa che Chandler e Monica vogliono comprare, che intrattiene una conversazione con un Joey depresso dal fatto che i suoi amici stiano scegliendo di allontanarsi da Manhattan.

5) Ben Stiller (3×22 “The One with the Screamer”)

Torniamo indietro nel tempo, alla terza stagione, in cui fa la sua comparsa per un episodio Ben Stiller nel ruolo di un ragazzo che Rachel sta frequentando. La ragazza lo invita allo spettacolo teatrale di Joey dove solo Ross sembra accorgersi che il tipo è un pazzoide che reagisce in maniera eccessiva al minimo disguido, urlando in faccia alla gente.

6) Jennifer Coolidge (10×03 “The One with the Tan”)

È probabile che questa non sia tra le più memorabili guest star in Friends semplicemente perché surclassata dall’esilarante sottotrama di Ross e dei suoi “Mississippi” (un suo modo di contare che fa sì che si becchi un’abbronzatura a dir poco squilibrata all’interno della doccia solare). L’allora “mamma di Stiffler”, in seguito presenza ricorrente in altre celebri sit-com quali 2 Broke Girls, interpretava in questo episodio una vecchia inquilina del palazzo dei protagonisti non particolarmente simpatica a Monica e Phoebe, che finisce anche per mettere temporaneamente zizzania tra le due ragazze.

7) Kristin Davis (7×07 “The One with Ross’s Library Book”)

Mentre impegnata sul set di Sex and the City, serie che l’ha resa famosa come la romantica Charlotte, la Davis è comparsa in questo episodio in cui Ross si impegna a impedire che delle coppie di studenti si appartino proprio nell’angolo di biblioteca in cui è esposto il suo libro. Kristin Davis interpreta la ragazza di Joey, che Rachel e Phoebe adorano e che non vogliono dunque che venga scaricata immediatamente dall’amico come tutti i precedenti flirt. Purtroppo il loro impegno finirà per convincere Joey che valga la pena dare una chance al suo rapporto con la ragazza proprio quando quest’ultima deciderà, invece, che i due non sono fatti per stare insieme.

8) Alec Baldwin (8×18 “The One in Massapequa”)

Ben prima di 30 Rock, ma già affermato attore cinematografico, Alec Baldwin è comparso come guest star in Friends nell’ottava stagione, interpretando il partner che Phoebe decide di portare  con sé alla festa per l’anniversario di matrimonio dei genitori di Monica e Ross. L’uomo si mostra da subito eccessivamente entusiasta per letteralmente qualunque cosa, e la cosa finisce per infastidire tutta la gang… inclusa Phoebe!

9) Winona Ryder (7×20 “The One with Rachel’s Big Kiss”)

Arrivando alla settima stagione della serie vediamo avvicendarsi sempre più di frequente guest star di un certo peso sul set della famosa sit-com. Quella di Winona Ryder (allora già nominata agli Oscar per film come Dracula di Bram Stoker e Piccole Donne e apparsa in famose pellicole di Tim Burton come Beetlejuice e Edward Mani di Forbice) potrebbe non essere ricordata come la più grande di queste apparizioni, in quanto relegata a una sottotrama relativamente marginale nel ruolo dell’amica di vecchia data di Rachel con cui quest’ultima dichiara di aver “sperimentato” da ragazza (suscitando lo scetticismo di Phoebe). Sono certa però che il risvolto finale di questa storyline (il bacio del titolo) accenderà parecchie lampadine a chi finora aveva rimosso la comparsata della futura Joyce Byers di Stranger Things sul set di Friends.

10) Gary Oldman (7×23-24 “The One with Monica and Chandler’s Wedding – Part I & II”)

Dalla protagonista femminile di Dracula di Bram Stoker al personaggio del titolo, l’affascinante Gary Oldman è comparso in questo doppio episodio finale della settima stagione di Friends in un ruolo di ben altro spessore rispetto al celebre vampiro. Nella sit-com interpreta infatti un attore con cui Joey sta lavorando sul set di un film sulla Prima Guerra Mondiale che ha il piccolo problema di essere “particolarmente enfatico” quando pronuncia le sue battute… creando ovvi problemi al collega.

BONUS: Hugh Laurie (4×24 “The One with Ross’s Wedding – Part II”)

Questa probabilmente è tra le più facili da ricordare e per questo meno adatta al resto della classifica, visto che anche se relativamente breve il cameo di “Dottor House” che si deve sorbire la storia di Ross e Rachel mentre seduto sull’aereo accanto a quest’ultima (e alla fine sbotta) è troppo geniale per poterlo dimenticare. Ma l’ho voluto comunque inserire come bonus perché in un volo verso l’Inghilterra non si poteva scegliere parentesi più azzeccata del cinismo tutto British veicolato da Hugh Laurie. Quel “and by the way, it seems to me perfectly clear that you were on a break”, poi, è indimenticabile!

Ricordavate tutte queste guest star in Friends che si sono susseguite nel corso degli anni? Ne aggiungereste altre che sono spesso passate in sordina ma che credete meritino di essere ricordate? E tra le più celebri, quali sono state le vostre preferite?
Aspetto di leggere la vostra classifica qui sotto nei commenti.
Alla prossima!

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20 momenti telefilmici memorabili per cui “noi c’eravamo”

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Oggi Telefilm Addicted festeggia ben DIECI ANNI online. Un traguardo che sembrava lontanissimo e quasi impossibile quando il sito ha mosso i suoi primi passi in una rete che cambia in continuazione… o anche solo mezzo decennio fa. Soprattutto il modo di fruire della nostra passione, i telefilm, ha subito profondi cambiamenti nell’arco di questi anni e ciò ha portato anche noi a cercare di adattarci a nuovi metodi e nuove tempistiche.
Per festeggiare questa importante tappa nella vita di TA, alcuni di noi si sono voluti riunire per una passeggiata sul viale dei ricordi.
Eccovi dunque una carrellata di quelli che secondo noi sono stati 20 momenti telefilmici memorabili per cui lo staff di TA può dire “noi c’eravamo”.

 

Ale – Già due anni fa esatti avevo scritto qui del mio rapporto con TA, quindi oggi non ripeterò quali sono stati gli oneri e i piaceri del far parte così a lungo di questo staff, il mettersi in gioco con le proprie opinioni e darsi in pasto a un pubblico di lettori che potrebbe a volte non dimostrarsi comprensivo e aperto al dialogo. Ora che siamo giunti al primo compleanno a due cifre per TA, guardo indietro a sette di questi dieci anni che ho avuto il piacere di passare con il resto del team, una “famiglia” con cui nel frattempo i rapporti si sono stretti ulteriormente: con alcuni ci siamo conosciuti di persona, abbiamo stretto amicizie sincere, condiviso momenti di vita importanti, abbiamo anche viaggiato insieme e ci siamo scambiati confidenze, lamentele e raccontati piccoli e grandi successi con costanza quasi giornaliera. Credo che al di là delle soddisfazioni “editoriali” sia stato a mani basse questo il regalo più grande che ho avuto da Telefilm Addicted.
Ma andiamo a vedere cosa invece il mondo telefilmico ha regalato a tutti noi nell’arco di un decennio seguito fedelmente da TA:

1) Lost e uno dei primi finali che ha irrimediabilmente spezzato il fandom

A settembre 2004 un aereo era caduto su una strana isola del Pacifico e le vicissitudini dei sopravvissuti hanno fin da subito appassionato il pubblico, facendoci intuire che eravamo di fronte a una serie tv che avrebbe cambiato per sempre il modo di produrre serie tv. E avevamo ragione sotto molti punti di vista, perché Lost non ha solo fatto scuola dal punto di vista narrativo, ma ha creato una mitologia così ermetica da portare inevitabilmente a un bivio: c’eravamo tutti dentro fino al collo quando quell’ultima stagione ha scombinato tutte le carte in tavola e, nel maggio del 2010, ci ha presentato un finale tutt’oggi discusso e criticato. L’essere così invischiati ha per forza di cose causato una reazione estrema, sia da una parte che dall’altra: c’è chi l’ha amato e chi l’ha odiato, ma non ci sono mezze misure. Altre serie in seguito hanno rovinato famiglie per diatribe legate al gradimento o meno di alcune scelte stilistiche e/o narrative, cose che Pandoro vs Panettone scansate, ma Lost ha avuto il suo primato anche da quel punto di vista… e noi abbiamo continuato a parlarne nel tempo.

2) L’avvento di Game of Thrones 

Aprile 2011: il canale via cavo HBO lancia l’adattamento televisivo della saga A Song of Ice and Fire di George R.R. Martin e quell’universo in stile medievale dal sapore fantasy ha subito attirato curiosità. C’erano quelli che l’hanno associato al Signore degli Anelli e quelli che, in uno slancio di positività (ed evidentemente ignari di cosa significasse il casting di Sean Bean), hanno creduto di sedersi a seguire le nobili gesta di Eddard Stark e della sua bella famigliola. Per questo motivo, nonostante negli anni i twist si siano susseguiti e ci siano state innumerevoli sequenze che hanno stracciato i nostri poveri cuoricini prima di giungere a una qualche forma di gioia, sento di dover menzionare la morte di Ned come uno dei primi momenti storici di una serie che ha già di per sé fatto storia (incetta di Emmy e Golden Globe, performance attoriali indimenticabili, episodi girati magistralmente… in breve, una qualità cinematografica che entra fieramente nel mondo della serialità televisiva). Se fino a quel momento coloro che non avevano letto i romanzi pensavano di star seguendo un telefilm sì avvincente ma tutto sommato lineare, l’esecuzione del patriarca Stark ha fornito a tutti una doccia fredda: in questo mondo NESSUNO È AL SICURO, i buoni non necessariamente vincono e i cattivi non necessariamente hanno quel che si meritano. Le svolte impreviste e incredibili saranno sempre dietro l’angolo… fino alla fine, quando purtroppo ad aspettarci dietro l’angolo c’era un imprevisto eccesso di droga degli autori e un’incredibile delusione (che però devo dire che per me non cancellerà mai del tutto il fenomenale percorso che è stato fino ad allora quello di GoT).

3) Quando Kickstarter ha salvato una serie cancellata da anni

Era il lontano 2013, proprio l’anno in cui sono entrata nello staff di TA e in cui ho partecipato ad articoli corali per festeggiare eventi storici della tv come il cinquantenario di Doctor Who mentre prendevo residenza per qualche mese a Londra, quando un altro grande cambiamento si è stagliato all’orizzonte. Il fandom appassionato di Veronica Mars, dopo anni di incertezze sulla ripresa o meno della serie (cancellata dal proprio network di appartenenza al termine della terza stagione ma il cui prosieguo è sempre stato caldeggiato da autore e cast), ha subito una resurrezione impensabile. Il sito di crowdfunding Kickstarter non era mai stato impiegato per un progetto simile prima di allora, ma è letteralmente esploso quando ai fan è stato chiesto se volevano partecipare con piccole e grandi donazioni al ritorno di Veronica Mars con un film conclusivo. Anni dopo Hulu ci ha regalato addirittura una inaspettata quarta stagione, ma allora è stato incredibile constatare il potere della volontà di un fandom, che si è guadagnata questo regalo grazie al proprio intervento in prima linea… segnando un importante precedente per il  successivo coinvolgimento in altre “sommosse popolari” volte a riportare in vita serie date per spacciate (seppure non sempre con i risultati sperati).

4) Il ritorno nella labirintica mente di Lynch atteso per un quarto di secolo

Parlando di serie che hanno fatto la storia della televisione, non si può non pensare a Twin Peaks e al mantra “Chi ha ucciso Laura Palmer?” che ci ha accompagnati per mesi agli inizi degli anni Novanta. Nel 1991 avevamo lasciato quella cittadina dall’apparenza tranquilla, che dopo essere stata sconvolta dall’efferato assassinio si era gradualmente scoperta nascondere un sottobosco di intrighi umani e disturbanti presenze sovrannaturali, con un inquietante cliffhanger riguardante la sorte dell’agente Cooper. La promessa della Laura della Loggia Nera (“I’ll see you again in 25 years“) sembrava in qualche modo rivolta anche allo spettatore… e infatti riceviamo la notizia del revival di Twin Peaks previsto a circa un quarto di secolo di distanza dalla conclusione. C’è da aspettare un po’ di più per l’effettiva messa in onda, ma per quanto il ritorno nella cittadina creata da David Lynch e Mark Frost possa avere in parte disatteso le aspettative e diviso il pubblico a livello di gradimento, l’evento in sé (che noi abbiamo recensito in due parti qui e qui) è stato senz’altro una pietra miliare della serialità.

5) La rivincita dei nerd e la “comicità intelligente” di The Big Bang Theory

Avevamo già avuto modo di appassionarci a serie comedy più profonde grazie a Scrubs, che ha lanciato un sottogenere di successo mescolando sit-com a medical drama e rendendo una serie esilarante e a tratti demenziali anche il veicolo per emozioni che, forse proprio per via di un contesto che sembrava poco predisposto alla tristezza, ci hanno colpito ancora più nel profondo.
Poi nel 2007 nel panorama televisivo si è stagliata un’altra comedy che avrà un lunghissimo corso (ben dodici stagioni), che proseguirà sul filone “sit-com non significa privo di emozioni vere” (abbiamo riso e pianto in egual misura con i suoi protagonisti), ma soprattutto che ribalterà gli assetti sociali nella vita reale così come Scrubs aveva scelto di portare umorismo in un ambiente perlopiù serioso come l’ospedale. The Big Bang Theory presenta al mondo la rivincita di un gruppo di nerd, reiterando con ancora più successo quello che aveva provato in piccolo a fare Freaks&Geeks, ma qui il format da sit-com e le idiosincrasie più accentuate di alcuni dei protagonisti (Sheldon in primis) decretano il successo di pubblico. Certo, con gli anni la vena tecnico-scientifica si è andata affievolendo ed è stata resa sempre più “mainstream” per avvicinarsi a tutti, ma è stato bello per tutti gli appassionati di fumetti, cinecomic, serie tv, giochi di ruolo e chi più ne ha più ne metta vedersi “raccontati” in tv con autoironia, ma anche in un modo che ha permesso di rendere tutte quelle passioni prima un po’ di nicchia un qualcosa di più globale. Magari non tutti ritengono questa apertura dell’universo geek al resto del mondo una cosa positiva, ma rimane innegabile che a suo modo The Big Bang Theory abbia rivoluzionato un genere televisivo… diciamo che la serie ha influenzato il mondo mentre il mondo influenzava e modificava anche il più granitico dei suoi personaggi: mi sento di riportare il toccante discorso di Sheldon nel series finale dello scorso anno tra i momenti storici che abbiamo seguito insieme perché è l’apice di uno dei character development più estenuanti, forse, ma comunque meglio orchestrati della serialità recente.

Sam – Il nostro sito oggi compie dieci anni. Dieci anni a tenervi compagnia, a parlare ed analizzare con voi tutto quello che accadeva nelle nostre serie preferite, a rivivere i nostri momenti preferiti.
Per me gli anni sono quasi sei, ma prima di entrare nello staff ero un’utente e come tutti correvo a leggere gli articoli sugli episodi della settimana. Anzi, gli appuntamenti con le recensioni e le rubriche rendevano ancora più piacevole l’arrivo delle nuove puntate.
Come per Ale, inoltre, l’avventura di Telefilm Addicted è stata resa ancora più speciale dai rapporti personali diventati importanti amicizie, che hanno portato a molti momenti condivisi, a weekend e viaggi indimenticabili e che permettono di stare insieme nonostante le distanze e le emergenze sanitarie nazionali come sta accadendo adesso.
Dicevamo, però, dei momenti più salienti delle serie tv. Eccone altri particolarmente memorabili.

1) Emily Thorne aka Amanda Clarke ha abbracciato la filosofia del Conte di Montecristo e si è presa la sua vendetta

Per quanto, secondo l’opinione generale, alla fine lo show avesse avuto un calo, non si può negare che Revenge, con la sua protagonista Emily Thorne-Amanda Clarke, abbia lasciato un segno indelebile nella storia della televisione. Una versione XXI Secolo del famigerato Conte, una giovane donna geniale e badass come pochi che decide di portare giustizia su chi ha distrutto tante vite, la sua compresa. Ci manchi, Emily.

2) New Orleans è diventata (o meglio, è tornata ad essere) la città dei vampiri e del soprannaturale per eccellenza

The Originals è stato lo spin-off che tutti gli amanti del soprannaturale e dei vampiri aspettavano e la famiglia Mikaelson non ha deluso le aspettative, portando noi appassionati nella Big Easy e dando vita a un “party” che di certo non verrà mai dimenticato, anche grazie alle numerosissime celebri citazioni della letteratura di genere e di Shakespeare, perfette per dei personaggi complessi e meravigliosi come Elijah, Klaus e gli altri. Episodi come Tangled Up In Blue e tanti altri resteranno per sempre nei nostri cuori.

3) Lady Mary Grantham ha fatto jackpot due volte ed Edith ha finalmente avuto gioie

Downton Abbey è arrivato e, esattamente come successo a molti di voi, noi abbiamo vissuto e sofferto con la famiglia dei Conti di Grantham e le persone al loro servizio: amavamo disperatamente Sybil e siamo rimasti sconvolti dall’infelice esito della sua storia con l’adorabile Tom Branson; al ritorno di quest’ultimo a Downton e alle sue parole, “Ho scoperto che Downton è la mia casa e voi siete la mia famiglia”, abbiamo esclamato “Oh, grazie a Dio! Finalmente l’ha capito!”; anche a noi è sembrato di aspettare sette lunghissimi anni prima di vedere Mary e Matthew finalmente insieme, per poi piombare nella disperazione quando Dan Stevens ha deciso di mollare e quegli infami a Natale lo hanno fatto morire (prendendo spunto dai diari di Steven Moffat e Mark Gatiss aka Satana and Satana’s Best Friend… cosa per cui mio padre, da fangirl sotto mentite spoglie qual è, ha smesso di guardare Downton Abbey perché “Come, ci hanno messo tutti quegli anni a finire insieme e adesso lui muore?!”) e hanno fatto subire a noi due-dico-due stagioni dell’inutile Lord Tony Gillingham… ma anche noi, come Mary, siamo stati ripagati dal suo secondo jackpot in fatto di uomini, ovvero Henry Talbot, alias quel figaccione intergalattico di Matthew Goode, che ha dato vita all’unico uomo che potesse prendere il posto di Matthew Crawley (buon nome non mente, è il caso di dirlo).

E, incredibile ma vero, anche Edith ha avuto gioie!!! Al che come in voi ci è scattato il mood “Protect Bertie at all costs!”. E ovviamente, ovviamente, abbiamo aspettato le perle della settimana di Lady Violet come si attende una crêpe alla Nutella.

E soprattutto, abbiamo giocato a INDOVINA IL CAMERIERE, che verrà brevettato e un giorno sarà nella vostra colonna di giochi da tavolo.

4) Steven Moffat e Mark Gatiss ci hanno presentato una versione totalmente inedita di Sherlock Holmes

Una versione che si è rivelata una perla assoluta, ha conquistato all’istante e ci ha fatto urlare “Come ho potuto vivere senza tutto questo, prima?!”. Ovviamente anche per merito dei suoi interpreti ben più che perfetti, Benedict Cumberbatch, Martin Freeman, lo stesso Mark Gatiss e tutta la compagnia.

Dopodiché, essendo Satana and Satana’s Best Friend, hanno deciso di averci concesso già troppo e che era ora di passare ai metodi soliti, ovvero la tortura, facendoci aspettare anni tra una stagione e l’altra, arrivando fino a tre interrotti solo da uno speciale natalizio, tanto che “persino il Futuro è tornato prima di Sherlock”. A proposito, Moftiss: va bene che ci avete dato Dracula e lo abbiamo amato, ma ora smettetela di gozzovigliare e dateci una quinta stagione di Sherlock, uno speciale, QUALCOSA!!!

(Anche perché abbiamo bisogno di cose nuove da commentare.)

5) Steven Moffat ha scritto la storia della televisione con Doctor Who

Prima come autore nel team di Russell T. Davies, poi come showrunner, affiancato dall’inseparabile best friend Mark Gatiss. Moffat ha scritto alcuni degli episodi più belli dell’era Davies e, preso il timone dello show, ha creato alcune delle stagioni più incredibili e avvincenti, dei puzzle da ricostruire perfetti per uno show il cui protagonista è un Signore del Tempo.

Steven Moffat ha preso quello che generalmente era uno show “di nicchia” (anche se molti di noi già lo seguivano da tanto tempo) e lo ha reso un successo planetario, tanto da garantirsi folle oceaniche di gente nelle manifestazioni internazionali. E, infine, ha creato The Day of The Doctor, con il quale non solo ha proseguito l’opera da “Re Mida”, visto che lo speciale del cinquantesimo anniversario è stato mandato in onda in contemporanea in qualcosa come una novantina di Paesi in tutto il mondo ed è stato trasmesso persino in 3D nei cinema, ma dal punto di vista della storia ha creato un momento fondamentale per il protagonista e ha celebrato perfettamente il passato, il presente e il futuro del Dottore.

Gnappies_mari – Dieci anni di Telefilm Addicted, dieci anni di momenti incredibili! Alcuni lontani nel tempo, altri più vicini, eppure tutti ancora indelebili nella mia memoria! Iniziamo:

1) The Vampire Diaries e quel bacio tanto agognato

Correva l’anno 2012 e, dopo 63 episodi di “Sarà sempre Stefan”, eccoci catapultati nella 3×19, la puntata in cui finalmente Elena bacia Damon… e noi Delena partiamo con la ola che nemmeno dopo il gol di Grosso a Berlino 2006. Per chi come me ha da subito fatto salpare la ship Delena, questo episodio è solo la punta dell’iceberg di un insieme infinito di cose non dette, ma che tanto noi avevamo capito benissimo. E la conferma del nostro non essere dei visionari arriva alla fine della quarta stagione, quando purtroppo però TVD aveva ormai perso il suo splendore.

2) This is us: la morte di Jack Pearson

This is us ci ha abituati fin dal primissimo episodio a colpi di scena che ti piombano addosso negli ultimi trenta secondi di ogni puntata. DI OGNI PUNTATA. E quando ti ritrovi per due stagioni a chiederti come sia morto uno dei personaggi che ti ruba il cuore (perché alla fine te lo rubano tutti, ma qualcuno, tipo Jack, un po’ più degli altri), alla fine l’episodio che te lo fa scoprire non può che essere traumatico e devastante. Ma anche un punto di inizio.

3) Grey’s Anatomy e quelle morti che ti distruggono

Le serie medical sono sempre state tra le mie preferite. Poi è arrivato GA.
Io sono una fanatica delle ship, in ogni serie mi parte almeno una ship e GA non ha fatto eccezione. Izzie e Alex erano la mia ship, poi lei se ne è andata. In mezzo a questo ci sono stati Mark e Lexie, e io non mi sono ancora ripresa per la loro morte. Penso che nulla mi abbia devastata così tanto, talmente tanto da farmi abbandonare la serie.

4) Sense8 e quel finale voluto a tutti i costi

Che si trattasse di marketing o no, in moltissimi si sono mobilitati per dare a Sense8 un finale degno di questo nome. Può essere piaciuto oppure no, e in effetti accontentare tutti tirando le fila delle varie storyline in sole due ore non era impresa facile, ma è sicuro che questa serie abbia lasciato il segno. In positivo o in negativo dipende dal proprio giudizio personale, o la si odia o la si ama, ma gli autori sono riusciti a evidenziare l’importanza del diverso, del gruppo e del singolo nel gruppo. A me manca tantissimo.

5) Finalmente Chuck e Blair

Gossip Girl ha scritto la storia dei telefilm “per spegnere il cervello” e, nonostante svolte narrative del tutto improbabili, è entrato irrimediabilmente nei nostri cuori… e con lo show due personaggi e una coppia in particolare: Chuck Bass e Blair Waldorf. Complicati, viziati, insopportabili, a volte meschini, machiavellici, affascinanti. Avresti voluto strozzarli la metà del tempo, ma era impossibile non amarli.

E vogliamo parlare di cos’erano in coppia?
Anni di tira e molla, rimescolamenti di coppie tali da rivaleggiare con Beautiful, ma alla fine sono arrivate quella domanda e quella risposta con sospiro di sollievo: “Verresti in guerra con me?” – “Credevo che non me l’avresti mai chiesto!”. E anche noi abbiamo potuto sospirare, finalmente appagati.

 

The Lady And The Band – Una cosa è sicura: di momenti memorabili, gli ultimi dieci anni, ne hanno avuti diversi. Alcuni legati all’aspetto sociale del mondo delle serie tv.
Ecco i miei:

1) Il finale di How I Met Your Mother: quando il pubblico ha attaccato direttamente gli sceneggiatori

HIMYM è stata la prima serie tv che ho recensito per Telefilm Addicted, per cui sono legata al telefilm e al finale (qui il link alla mia recensione dell’epoca) da una componente affettiva oltre che critica.
Senza spoilerare coloro che non hanno ancora visto la serie tv, il finale verrà ricordato come uno di quelli che ha comportato un sollevamento dei fan in massa. Per quanto i segnali fossero stati dati da tempo, non eravamo pronti e la scelta del modo in cui far concludere la serie tv provocò un’ondata di proteste tali da costringere i due creatori a rendere pubblico il finale alternativo, decisamente più appagante.

2) L’ondata di proteste dopo la morte di Lexa in The 100 e la fine del tropebury the gays

Lexa doveva morire. Il suo ruolo era quello del «mentore» in un romanzo di formazione, pertanto era destinata a morire: anche fosse stata un uomo o etero. Il suo ruolo all’interno della storia si era esaurito e la sua morte era necessaria alla storia per proseguire. Ciò non significa che non sia stato doloroso vederla scomparire.
Fatta questa premessa, veniamo alla ragione per cui è stato un evento epocale.
Il topos che vuole i personaggi omosessuali (soprattutto lesbiche) morire all’interno delle serie tv è una piaga che ha segnato decenni di televisione. La morte del personaggio del Commander segna il punto di rottura. Lexa diventa un simbolo e il suo personaggio è usato, trasformato in cosplay, in centinaia di cortei LGBTQ come esempio di ingiustizia sociale. È curioso che una serie tv, che si è distinta nel panorama televisivo per non aver mai fatto delle etichette il suo motore, si sia ritrovata sotto accusa per avere eliminato un personaggio che di quell’etichetta non ha mai fatto il suo carattere distintivo. E se è vero che i toni della protesta raggiunsero vette al limite del penalmente perseguibile, per la minoranza che manifestò in maniera civile resta un momento epocale.

Per la prima volta dopo tanto tempo, un personaggio diventa simbolo di una lotta sociale e il pubblico ha ottenuto la voce per farsi sentire. La «bury the gays» si è rarefatta sugli schermi e il merito è tutto nelle mani di chi ha scritto così bene il personaggio della Heda.

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3) La nascita dell’Arrowverse

Di spin-off e reboot è piena la televisione e non sempre hanno successo. Ma non è questo il caso.  Lo avevano già fatto il franchise di CSI e quello di Law&Order (e lo faranno la Shondaland e il Chicago Franchise), ma nel 2012 il canale CW inizia a porre le basi per un universo televisivo dedicato agli eroi della DC Comics, dando vita ad una serie di telefilm collegati fra loro dal comune denominatore: l’eroe DC.
Apre le danze Arrow che racconta della genesi e delle avventure di Green Arrow, seguito da The Flash (2014), Supergirl (2015), Legends of Tomorrow (2016), Black Lightning (2018), Batwoman (2019), StarGirl (2020), Superman and Lois (in lavorazione), a cui si affiancano le serie animate Vixen e Freedom Fighters.
Un intero universo, quindi, che popola le settimane del canale CW, contiene trame orizzontali tra loro collegate (soprattutto dal punto di vista delle tematiche) e che almeno una volta all’anno si riunisce per un unico, grande crossover.

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4) Nasce lo streaming legalizzato e fare binge-watching diventa un’esperienza comune

L’azienda è nata nel 1997 (lo sapevate?! Io l’ho appena scoperto), ma è nel 2010 che Netflix inizia a sbarcare sugli schermi di mezzo mondo. Al momento solo cinque Paesi del mondo non ce l’hanno disponibile.
Per la prima volta, dietro un abbonamento tutto sommato a un prezzo ragionevole, nasce una piattaforma che non solo consente di guardare film e telefilm di altri canali, ma ne produce di propri originali, spesso usando un linguaggio nuovo legato soprattutto alla totale indipendenza economica (ovvero, gli sponsor non possono spingere per avere un dato contenuto o non averne un altro).
Una delle prime serie della piattaforma fu House of Cards, ma dopo qualche mese a essa si affiancarono prodotti eccellenti come Arrested Devolpment, Orange is the new black, Hemlock Grove. Negli anni successivi la concorrenza si è fatta serrata e negli ultimi tempi Netflix non ha avuto paura di adottare una prospettiva volta a un guadagno spietato, a scapito talvolta della qualità, ma la novità introdotta dalla sua nascita ha cambiato (e sta cambiando forse per sempre) la fruizione di film e serie tv.

5) “Bandersnatch” e la tv interattiva

Il 28 dicembre 2018 Netflix lancia un film legato all’universo di Black Mirror che in tutto e per tutto è guidato dallo spettatore. Coadiuvato da due esperti del campo del gaming, il team di Netflix ha realizzato un canovaccio a partire dal quale gli eventi sarebbero stati scelti dai singoli spettatori.
La durata va dai 90 ai 40 minuti a seconda delle scelte fatte dagli spettatori e i finali sono tutti diversi.
Per quanto l’accoglienza da parte del pubblico non sia stata unanime, la possibilità di scegliere autonomamente il percorso da far compiere ai personaggi e di poter ricominciare da capo ad ogni visione da un lato porta alle estreme conseguenze la tendenza degli ultimi anni, per la quale sempre più spesso gli spettatori pretendono di intervenire nella scrittura delle serie tv (spesso attaccando direttamente l’indipendenza creativa degli autori); dall’altro, Bandersnatch costituisce un esperimento interessantissimo dal punto di vista del rapporto spettatore-prodotto, e apre a future esperienze analoghe.

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E per voi, quali sono stati alcuni dei momenti televisivi che hanno definito questi dieci anni passati a commentare le nostre serie tv preferite insieme? Fatecelo sapere qui sotto nei commenti.

Ancora
TANTI AUGURI
TELEFILM ADDICTED!

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Manifest – Recensione e teorie sul finale della seconda stagione

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Ciao a tutti e bentornati! Spero che, nonostante le necessarie restrizioni di questo periodo, stiate passando un buon weekend pasquale.
Personalmente, vista la situazione, ne sto approfittando per dedicarmi ancor più del solito a recuperi e nuove visioni. Tra le nuove uscite non poteva certo mancare la seconda stagione di Manifest, di cui avevo già avuto modo di parlare all’inizio e a metà circa. Proprio in questi giorni è andato in onda il season finale, che ha confermato il buon trend che avevo già evidenziato in precedenza andando anche ad aprire nuovi scenari potenzialmente interessanti per un eventuale prosieguo… seppure senza ancora rispondere a molte delle domande più pressanti (ragion per cui se la NBC non lo rinnova per una terza stagione li vado a cercare a casa!). Andiamo quindi a commentare insieme quanto visto in questo finale di seconda stagione di Manifest e ad azzardare qualche teoria sui futuri sviluppi.

Innanzitutto comincio col ribadire che l’ampliamento della cerchia ristretta della famiglia Stone continua a viaggiare sui binari giusti: oltre ad aver “riportato in vita” Vance e a mantenere Zeke e Saanvi (sebbene quest’ultima sempre “a mezzo carico”… ci torniamo fra un attimo), ho apprezzato l’introduzione di TJ (come accennato anche nella scorsa recensione) e trovo azzeccato anche il personaggio di Drea. Confesso che quest’ultima per diversi episodi l’ho guardata con sospetto, così come anche il nuovo capo distretto (avevo idea che nascondesse qualcosa, ma ho cominciato a convincermi che fosse qualcosa di buono nel momento in cui ho iniziato a sospettare che la svolta dark di Jared potesse tutto sommato essere solo una simulazione): Drea è stata da subito fin troppo carina e disponibile con Michaela… forse è solo che serie di questo tipo mi hanno abituata a non fidarmi ciecamente della gentilezza gratuita della gente. Per ora sono felice di essere stata smentita, anche se le parole del Maggiore su come stia tenendo d’occhio gli Stone mi hanno riacceso il campanello d’allarme: che sia proprio Drea il suo “infiltrato”? Certo sarebbe un peccato, ma è plausibile.
Riguardo invece il piano segreto che coinvolgeva il doppiogioco di Jared, devo dire che se per cinque minuti all’inizio non mi era dispiaciuto come risvolto e non l’ho trovato neanche così campato in aria, è arrivato presto il sospetto che fosse tutta una montatura. Una volta confermato questo ammetto di aver capito che Jared nelle originali vesti di alleato mi piace comunque sempre di più: irremovibilmente fedele a Michaela e sempre dalla sua parte, non importa cosa succeda (e con chi lei stia al momento). La compostezza con cui continui a supportarla e il rapporto di equilibrato sopportarsi tra lui e Zeke è stata la migliore scelta narrativa a mio vedere: non se ne può davvero più di triangoli amorosi, apprezzo molto di più un rapporto di questo tipo, decisamente adulto da parte di Jared e senza inutili melodrammi… che il focus della storia deve rimanere un altro!

Già, parliamo di questo focus: dal cliffhanger finale della stagione scorsa si era capito che in questa seconda stagione Manifest avrebbe indirizzato gran parte del lavoro dei protagonisti a scoprire di più sulla data di morte e su come scongiurarla. Purtroppo, avendo Zeke una data molto più prossima rispetto agli altri, in queste ultime puntate è stato su di lui che si è incentrato gran parte del racconto, portandolo a fare pace con suo padre, a coronare il suo sogno d’amore con Michaela… insomma, in tutto e per tutto il percorso di Zeke sembrava averlo condotto a una pacata rassegnazione alla fine della sua vita, ora che finalmente poteva dire di aver conquistato tutto quello che non aveva mai avuto. In parte per questo forse non posso dire di essere saltata sul divano alla scena della sua resurrezione. Per prima cosa, la costruzione della scena l’ho trovata piuttosto cheesy (pur volendo presumere che il bagliore che vedono Michaela, Ben e Cal sia in qualche modo collegato alla luce che aveva visto Cal dall’aereo, il che suggerirebbe l’intuizione di Ben su come effettivamente si sia verificata questa resurrezione, è davvero troppo “disneyano”). Inoltre, da un mero punto di vista narrativo, in questa seconda stagione Manifest ci aveva già strappato dolorosamente un altro personaggio (TJ) solo per poi restituircelo su un piatto d’argento. Chiariamo, non sono una fan del far fuori personaggi amati solo per il fattore shock (coff coff quarta stagione di Veronica Mars…), tutt’altro! Però ritengo che a volte, se la morte è ben costruita all’interno delle storyline e può dare spazio a un’interessante evoluzione caratteriale di uno o più personaggi, ben venga. È quello che era successo proprio con TJ: mi era dispiaciuta la sua apparente dipartita perché lo apprezzavo come aggiunta alla cerchia Stone, ma l’episodio successivo ha creato una bella dinamica tra Ben e sua figlia, il loro comune dolore li ha portati ad unirsi più profondamente di quanto fatto fino ad allora, il loro rapporto si è fatto più stretto… in alcuni contesti scegliere di uccidere un personaggio è la via più facile, altre volte invece concedere per forza il lieto fine lo è. Nel caso di TJ non ho trovato la scelta di salvarlo una facile scappatoia perché comunque abbiamo sperimentato la sofferenza di Ben e Olive con loro per un intero episodio prima di ritrovare il ragazzo, quindi lo sviluppo narrativo dei due personaggi e il loro riavvicinamento dovuto a tale perdita l’abbiamo comunque vissuto. Nel caso di Zeke invece abbiamo avuto un molto più lungo periodo di accettazione di un destino che sembrava impossibile cambiare, da quando il giovane ha scelto di lasciare l’ospedale analogamente a un malato terminale che vuole passare i suoi ultimi momenti nel calore di casa propria e non lontano dai suoi cari combattendo una lotta impossibile. Dopo diversi episodi in cui la storyline di Zeke e Michaela sembrava aver avuto come focus principale proprio il far giungere anche lei a questa accettazione, la scena del sacrificio di Zeke sembrava la conclusione più giusta (e il culmine drammatico dell’intera seconda stagione di Manifest), anche per come la visione che porta Zeke a salvare Cal ha creato un parallelismo con quella che nella scorsa stagione aveva portato il bambino a trovare lui: sembrava giusto lasciarlo andare a questo punto. Riportarlo in vita sarà anche un tassello importante nel puzzle del mistero della data di morte e come sconfiggerla, ma la cosa non ci viene in alcun modo presentata adeguatamente. È l’ipotesi formulata successivamente da Ben a introdurci alla possibilità che sia stato il seguire le sue chiamate fino alle estreme conseguenze a salvare Zeke (cosa che va ad allinearsi alle indicazioni di Al-Zuras: “All other paths lead to disaster”), ma la scena di per sé l’ho trovata piuttosto anticlimatica dopo tutta la costruzione narrativa degli episodi precedenti. Inoltre ricordiamo che è stato proprio l’iniziale ignorare la chiamata “let him go” di Michaela a portarli fino a quel punto: è l’universo che si autocorregge e anche se lei l’avesse seguita si sarebbero comunque verificate le circostanze per permettere a Zeke di salvarsi come ha fatto, oppure il rifiuto di Michaela di seguire quella specifica chiamata era “già previsto” e faceva parte di questo piano più grande? O, ancora (ma improbabile), si è trattato di una semplice casualità?

manifest seconda stagione

La teoria dell’universo che si autocorregge potrebbe applicarsi anche alla fine dei tre rapitori: nel momento in cui scopriamo che le tre ombre minacciose che continuavano a disturbare le visioni di Cal appartenevano ai tre criminali incastrati da Michaela devo ammettere di aver sentito nella mia testa come il rumore di un palloncino che si sgonfia. Per quanto il capobanda sembri un pericoloso psicopatico, non mi hanno trasmesso l’immediata idea di entità maligne… le ombre facevano presagire quasi qualcosa di ultraterreno (come i Cavalieri dell’Apocalisse teorizzati da Adrian… solo che questi non erano quattro): tre umanissimi spacciatori è quasi una delusione.
Scoprire che ignorare la propria chiamata da parte di Michaela ha fondamentalmente salvato loro la vita, impedendo loro di saltare in aria con il loro laboratorio, sembrerebbe essere ciò che l’universo vuole “rimettere a posto” spezzando loro il ghiaccio da sotto i piedi con un fulmine (un fulmine nero come quello che ha avvolto il volo 828? O semplicemente un randomissimo fulmine che, di tanti posti, va a cadere proprio sul lago gelato… dove, tanto per dire, erano comunque ammucchiate più persone di quante io ne farei stare su una superficie così notoriamente fragile). Il che rende la scoperta che i tre cadaveri sono scomparsi dal fondo del lago ghiacciato ancora più interessante: erano tre comuni mortali resi casualmente importanti dall’essere stati l’oggetto della chiamata ignorata da Michaela o erano già importanti da prima?
Personalmente ho due ipotesi a riguardo. La prima è che non avessero un grande rilievo nella più complessa trama globale, ma essendo sfuggiti al loro destino una volta l’universo è intervenuto per correggere l’intoppo, ma nel farlo ha accidentalmente conferito ai tre gli stessi poteri dei passeggeri dell’828: se a colpirli sul lago ghiacciato sia in effetti stato un fulmine analogo a quello della tempesta attraversata dall’aereo, i tre potrebbero essere scomparsi come i passeggeri del volo e un giorno torneranno con le chiamate e la “data di scadenza” come i nostri protagonisti. Ma la teoria che mi convince leggermente di più è di tipo più mistico (Lost docet): che ci siano in gioco forze più alte, che l’universo stia giocando una sorta di partita a scacchi tra bene e male, in cui i passeggeri che sentono le voci sono inconsapevolmente al servizio delle forze benefiche e i tre di quelle maligne ed è per questo che Michaela doveva lasciarli tornare al loro laboratorio? Quando si sono salvati da quella sorte, l’universo è intervenuto per rimettere tutto sui binari facendoli affogare.
Ma a questo punto c’è da chiedersi: se i passeggeri (e Zeke) hanno la possibilità di salvarsi dalla data di morte, c’è la possibilità che ciò apra un nuovo circolo? Cioè, Zeke è salvo per sempre o ha solo iniziato un nuovo corso? E se così fosse, ci si può salvare dalla morte più di una volta? Si può addirittura diventare immortali? È questo che è successo ai tre sul lago, sono morti e risorti? Sarebbe un risvolto a dir poco intrigante scoprire che magari li ho sottovalutati a un primo sguardo e fanno in realtà parte di un complotto ben più grande.

E parlando di complotti, veniamo alla storyline secondaria di questo finale della seconda stagione di Manifest e alle teorie riguardanti quegli ultimi due minuti da grattacapo.
Innanzitutto parliamo del faccia a faccia tra Saanvi e il Maggiore, che ci porta a un risvolto totalmente inaspettato per la prima (non so se sono pronta a una Saanvi macchiata dall’omicidio, seppure involontario) e ci rivela le vere intenzioni del governo nei confronti delle sue ricerche… ma qualcuno aveva qualche dubbio? Se c’è una cosa che ho imparato da questo genere di storie è che se il governo si impossessa di ricerche scientifiche riguardanti mutazioni genetiche, al 90% lo fa perché vuole rigirarle a proprio favore, impiegandole per scopi militari o comunque sinistri. La rivelazione che il Maggiore non si era impossessata del materiale su cui stava lavorando Saanvi per trovare una cura per i passeggeri ma per replicare quella mutazione del DNA non è quindi una rivelazione scioccante, ma è narrativamente un giusto parallelo che Saanvi si senta dire che “non esiste una cura” proprio nello stesso episodio in cui Zeke “si cura da solo” quasi per intercessione divina. Come anticipavo prima, quello che mi è dispiaciuto molto all’interno di questa seconda stagione di Manifest è stato vedere il personaggio di Saanvi relegato quasi unicamente a dottoressa integerrima che non getta mai la spugna, senza sfumature al di fuori di questo obiettivo di correggere l’anomalia genetica e salvare tutti dalla data di morte a guidarla. C’è stato un flebile tentativo di darle uno spessore emotivo al di là di questa ossessione introducendo il personaggio di Alex e i loro trascorsi, ma alla fine non ci si è mai veramente schiodati troppo dal riportarla alle sue ricerche e i suoi esperimenti. Le sue convinzioni granitiche sembrano quasi voler replicare (e mi dispiace scomodare di nuovo Lost dopo aver ripetuto anche nelle precedenti recensioni quanto non vorrei creare il paragone) il dualismo uomo di scienza-uomo di fede: Saanvi dichiara spesso di non credere ai miracoli e si strugge per trovare una soluzione medica all’anomalia, mentre Ben si abbandona al misticismo, alle visioni e alle improbabili coincidenze collegate a tarocchi e libri antichi. E in questo finale ad averla vinta sembra essere proprio la visione ultraterrena del mistero che li circonda.
Siamo ancora ben lontani dall’avere tutte le risposte che vorremmo, e questo è forse il tarlo che più mi continua a disturbare a fine visione: c’è stato uno sviluppo graduale ma costante nell’arco di questa seconda stagione di Manifest, sono state aggiunte piccole briciole di informazioni ogni tanto, eppure arriviamo alla chiusura non solo senza avere ancora certezze importanti in mano ma con nuovi interrogativi che si stagliano all’orizzonte: la visione di Ben con l’aereo che esplode e il rottame recuperato dal peschereccio in mezzo all’oceano.

manifest seconda stagione

Da qui andrò avanti a voli d’immaginazione, ma attendo di leggere le vostre idee nei commenti per confutare queste ipotesi qualora abbiate notato dettagli contrastanti che sono sfuggiti a me, o confermarle qualora la pensiate allo stesso modo… o magari deviare in direzioni ancora diverse e ancora più fantasiose.
Volendo perseguire la teoria del complotto si potrebbe imputare sempre al governo la sparizione del volo in primis: volevano fare esperimenti per ottenere materiale genetico da studiare, come stanno facendo ora con le ricerche rubate a Saanvi, ma magari neanche loro avevano previsto che l’aereo sarebbe piombato in quella sorta di “non-tempo” (vogliamo chiamarlo una specie di limbo spazio-temporale in cui presente e passato sono coesistiti per un attimo, facendo sì che il volo 828 attraversasse il cielo sopra la nave di Al-Zuras?). Nel momento in cui, per ragioni a noi ancora non note, il volo anziché seguire gli schemi previsti dall’esperimento è semplicemente sparito dai radar, magari una replica dell’828 è stata creata ad arte dal governo e fatta esplodere in mare per insabbiare tutto, simulando un normale incidente aereo. L’imprevisto rientro dei passeggeri ha fatto però sì che dovessero coprire le tracce della loro stessa copertura, motivo per cui l’828 appena rientrato doveva sparire (l’esplosione a fine episodio pilota). In questo caso l’alettone recuperato dai pescatori alla fine di questo season finale apparterrebbe semplicemente al finto 828 di copertura. Per quanto realisticamente plausibile, però, per una serie talmente intrisa di soprannaturale lasciarci con un cliffhanger così carico di aspettative e poi rivelarci che “è stato il maggiordomo governo” sarebbe una delusione.
Una teoria ancora più intrigante sarebbe quella delle realtà alternative: esistono due “universi paralleli”, uno in cui l’828 è esploso in aria e caduto in mare e uno in cui è solo scomparso per cinque anni e ricomparso con a bordo tutti i passeggeri perfettamente sani e per nulla invecchiati. Quello a cui Ben sta assistendo sarebbe quindi un’occhiata “dall’altra parte” (qui invece Fringe docet), anche perché in tutto questo c’è da considerare che nelle ultime visioni lui non è più a bordo dell’aereo durante una turbolenza come i protagonisti apparivano all’inizio della stagione, ma sembra assistere all’esplosione da un punto esterno.
Se gli autori dovessero introdurre il multiverso sarebbe una gran figata, sicuramente, ma dovranno prepararsi a gestirla meglio di come hanno fatto con questa seconda stagione: Manifest quest’anno si è saputo districare con trame fitte, centellinando gli indizi ma dandoci comunque abbastanza per mantenere l’interesse vivo e non frustrarci con una trama fin troppo ermetica. Ora però il rischio è proprio quello: portare la complessità dell’intreccio a un livello ancora superiore e continuare a non sciogliere i nodi potrebbe finire per rendere la trama talmente ingarbugliata da far perdere allo spettatore l’interesse di seguirla e gettare gli autori nella difficile posizione di non sapere loro stessi come venirne fuori… e a quel punto il pericolo svaccata sarebbe dietro l’angolo.

manifest seconda stagione

Tutto sommato però devo dire che, tirando le somme di questa seconda stagione di Manifest, mi trovo a sottolineare i pregi più dei difetti. Il season finale ha forse speso troppo tempo su punti di minore interesse tralasciando gli sviluppi che avrebbero potuto portare maggiore soddisfazione a noi pubblico, ma ha posto buone basi per sviluppi interessanti e per giungere al cuore di questo mistero (quanto prima, si spera). Ora quindi non ci resta che attendere notizie dal network per capire se ci sarà dato o meno di saperne di più il prossimo anno (anche se analisi dei dati condotte da siti di entertainment americani sembrerebbero vedere del positivo all’orizzonte).
Voi che ne pensate di questa seconda stagione di Manifest invece, vi è piaciuta o c’è qualcosa che avreste migliorato? E quali sono le vostre teorie per il seguito? Aspetto di leggere i vostri pareri qui sotto nei commenti.
A presto!

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[QUIZ] Personaggi Marvel e serialità: quante ne sai?

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Poco meno di un mese fa la piattaforma Disney+ è finalmente approdata anche sui nostri apparecchi per lo streaming, quindi per festeggiare abbiamo deciso di dedicare questo appuntamento con i Quiz di Telefilm Addicted a uno dei franchise inclusi nell’abbonamento: quello della Marvel. Come ben sappiamo la serialità non è estranea a storie improntate su alcuni dei protagonisti di questo mondo, ma qui vogliamo complicarvi un po’ le cose e non parleremo solo di serie appartenenti al Marvelverse, ma di tutte le volte che alcuni dei nostri supereroi preferiti hanno vestito panni diversi e si sono mescolati al cast di altri telefilm totalmente slegati dal MCU e da quello che gli ruota intorno.

Vediamo quante ne ricordate: mettevi alla prova con il nostro Quiz “Personaggi Marvel e Serialità” e poi fateci sapere com’è andata qui sotto nei commenti!

Quali di queste serie ormai concluse non ha avuto nel proprio cast principale alcun personaggio apparso nei film di Iron Man?

Correct! Wrong!

Quanti personaggi del franchise di Spiderman hanno transitato per i banchi di Freaks&Geeks?

Correct! Wrong!

Quale di queste companion di Doctor Who non è mai apparsa in alcun film Marvel?

Correct! Wrong!

Benedict Cumberbatch è un azzeccatissimo Doctor Strange, ma altri attori che l’hanno affiancato sul set di Sherlock sono poi apparsi anche in vari film Marvel. Qual è l’eccezione tra i seguenti?

Correct! Wrong!

Gli appassionati di The Walking Dead saranno stati felici di riconoscere il volto di Danai Gurira (Michonne) nel cast di Black Panther, ma ricordate quali di queste serie ha ospitato il protagonista del film come guest star in un episodio?

Correct! Wrong!

Quale di queste comedy non ha attori del cast principale apparsi anche in film del MCU?

Correct! Wrong!

Quale di questi attori di Wayward Pines è apparso anche in film Marvel?

Correct! Wrong!

I protagonisti di quali di queste miniserie ispirate a romanzi di Stephen King non sono mai apparsi in film Marvel?

Correct! Wrong!

Quale dei seguenti personaggi secondari dell’universo di Veronica Mars non è mai apparso in alcun film Marvel?

Correct! Wrong!

Anna Faris (Mom) non ha mai lavorato nella stessa serie con quale di questi personaggi del MCU?

Correct! Wrong!

Personaggi Marvel e Serialità
Livello Baby Groot
Le buone intenzioni ci sono, ma il tuo coinvolgimento nell’universo Marvel è ancora a livelli iniziali, come il piccolo Groot hai bisogno di continuare a crescere e imparare. Consigliamo un bel rewatch dei film e, perché no, di alcune delle serie menzionate nel quiz… ne avevi già qualcuna in watchlist?
Livello Peter Quill
La tua conoscenza delle curiosità che circondano i protagonisti dell’universo Marvel non è male, ma si può ancora migliorare. Forse hai risposto ad alcune domande con l’avventatezza che ha mostrato Star Lord contro Thanos in Infinity War?
Livello Peter Parker
Sei sicuramente affascinato dall’universo Marvel come Peter dall’idea di unirsi ufficialmente agli Avenger, ma qualcosa ancora ti blocca. I tuoi sensi di ragno sono chiaramente puntati nella direzione giusta, manca pochissimo per fare il salto di qualità da amichevole Spiderman di quartiere a supereroe a tutto tondo.
Livello Tony Stark
Ottimo lavoro! Sei decisamente un supereroe di livello superiore, un vero e proprio Avenger con la stoffa del leader. Puoi dire di essere un vero fan non solo dell’universo cinematografico della Marvel, ma di tutto ciò che circonda i suoi protagonisti, inclusi gli altri progetti a cui hanno partecipato: così come Iron Man, hai un occhio attento su tutto.

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3 motivi per recuperare Dark e 5 cose da sapere prima di farlo

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Anche se non abbiamo ancora una comunicazione ufficiale per il rilascio della terza e ultima stagione di Dark su Netflix, la data su cui la maggior parte dei fan sta speculando (il 27 giugno) avrebbe un suo perché che si lega alla trama della serie… e, viste le scelte simili attuate per la messa in onda delle stagioni precedenti, potrebbe essere realistica. Se la data dovesse venire confermata, vorrebbe dire che avremo modo di assistere al concludersi delle misteriose vicende che coinvolgono gli abitanti della cittadina di Winden in appena poco più di un mese. Tempo sufficiente per chi ancora non ha avuto modo di recuperare questa serie tedesca di dedicarsi alla visione dei 18 episodi finora disponibili!

Ma perché inserire Dark nella vostra lista se non l’avete già fatto (o perché darle priorità qualora sia già presente)? Al vi aveva già proposto tre buoni motivi QUI sul finire della prima stagione, io aggiungo quelle che sono le principali ragioni per me:

1) Non è quello che sembra… è meglio. Basandosi solo sulla descrizione fornita da Netflix forse non avrei mai dato una chance a Dark: “Nel 2019 la scomparsa di un ragazzino del posto provoca il terrore tra i residenti di Winden, piccola cittadina tedesca con una storia bizzarra e tragica”. Ok, quindi? Una sorta di Broadchurch tedesco? Senza offesa ma di storie così ne abbiamo viste tante e molte magari pure fatte meglio…
Per fortuna arriva però il trailer a darci l’indicazione che la storia non gira solo attorno a questo: “Ieri oggi e domani non sono momenti che si susseguono, e sono uniti in un circolo senza fine”. L’introduzione della componente del viaggio nel tempo è quello che mi ha incuriosita abbastanza da dare alla serie la possibilità che effettivamente, a posteriori, posso dire che meritava.

Dark - Quando è Mikkel?2) Trama decisamente ben strutturata. Ora penserete: “Quindi una crime story no, ma il tema del viaggio nel tempo è originale?”. No, di per sé magari no, e ammetto che anche l’espediente che porta alcuni personaggi a diventare viaggiatori non è nulla di straordinario… ma è lo sviluppo della storia a distanziarsi da altri racconti analoghi. Da quando si iniziano a capire le implicazioni che alcuni di questi viaggi hanno avuto sul presente e come a sua volta il presente influenzerà il passato, non si può fare a meno di continuare a fare congetture su quale sia la vera identità di questo personaggio misterioso, cosa abbia causato questo effetto e se i tentativi di modificare un certo evento porteranno effettivamente a qualcosa di diverso o fanno semplicemente parte di una catena di fatti già avvenuti.
La struttura ad anelli interconnessi, i vari richiami (frasi ricorrenti e altri collegamenti che vengono svelati poco alla volta) e i salti da un anno all’altro sono ben strutturati per far sì che si debba seguire la serie con attenzione se si vuole capire dove andranno a parare, chi vuole ottenere cosa ecc.

3) Le scelte di casting. Questa sembrerà una cosa scontata ma c’è stata decisamente un’attenzione certosina verso questo aspetto (d’altronde… sono tedeschi! *badum-tsss*).
In una serie che parla di salti temporali può capitare di vedere vari personaggi in momenti diversi della loro vita, ma sebbene potrebbe apparire ovvio che Tizio da giovane sia interpretato da un ragazzino che gli somiglia, in Dark la cosa viene portata a livelli quasi maniacali. Arriva un punto in cui l’introduzione di un nuovo personaggio in una diversa linea temporale quasi non ha più bisogno di presentazioni formali, perché una caratteristica fisica (anche ricreata ad arte, come l’orecchio di Helge o gli occhi di Claudia) o un comportamento specifico ci permettono di riconoscere immediatamente di chi si tratta (tranne quel paio che si vuole mantenere volutamente anonimi per motivi di sceneggiatura). Questo ha contribuito a creare un mondo che quasi esce dallo schermo: Winden potrebbe essere una cittadina reale, i suoi abitanti potrebbero essere persone vere di cui seguiamo realmente gli sviluppi da un momento storico all’altro.

Se vi ho convinti a dare un’occhiata a Dark con questa TOP 3, vi invito però a tenere a mente le seguenti indicazioni che possono aiutarvi ad apprezzare al meglio la trama fin da subito e a districarne meglio la matassa:

1 – Non fatevi scoraggiare dal ritmo iniziale

La Germania ha un notevole bagaglio culturale quando si tratta di espressioni creative: tra rinomati studi di registrazione musicale e studi cinematografici, vi sono stati sfornati molti prodotti di buona qualità (non solo da artisti locali) nell’arco dei decenni. A livello televisivo, però, i palinsesti italiani che trasmettono solo un certo filone non ci hanno proprio abituati a prodotti di una certa tipologia di provenienza tedesca. Questo “spaesamento”, unito a uno stile caratterizzato da un background decisamente diverso rispetto a prodotti di genere simile di provenienza americana o comunque anglosassone, possono far sì che i primi episodi risultino a tratti pesanti. Il consiglio è però di superare lo shock culturale iniziale: arriverà un punto in cui la trama comincerà seriamente a dare dipendenza.

2 – Procuratevi un taccuino per i personaggi

Dark - personaggiDetta così sembra che non siamo abituati a serie con un corpus di personaggi piuttosto ampio (Dark, per dire, non ha neanche un terzo dei personaggi principali e secondari di Game of Thrones…). Il punto non è tanto il numero di personaggi in sé, bensì il loro “moltiplicarsi” nel momento in cui si iniziano a esplorare diversi momenti storici: 1953, 1986 e 2019 sono solo i cardini principali, ma nella seconda stagione abbiamo anche un paio di incursioni nel 1921 e in un futuro post-apocalittico. In tutte queste linee temporali vediamo diverse età di alcuni personaggi e scopriamo le connessioni tra loro in momenti diversi. La serie ci permette di venire a capo di alcune di queste connessioni grazie allo schema a muro creato da uno dei personaggi (comodamente correlato da foto di tutti i “giocatori in campo” a diverse età), ma avere carta e penna sotto mano per annotarsi chi è chi e fa cosa in diverse timeline può essere un aiuto ulteriore per non perdersi dettagli per strada.

3 – (Quasi) nessuno è marginale

Parlando di dettagli che possono perdersi per strada, una delle cose che ho apprezzato è stato il fatto che si arriva a un punto in cui sono davvero poche le storyline meramente di contorno, quindi non si può mai davvero abbassare l’attenzione. Pensavo ad esempio di potermi deconcentrare in parte quando apparivano sullo schermo Magnus e Franziska, che con i loro drammi da teenager scontenti non mi sembravano aggiungere granché alla trama generale, poi arriva il finale della seconda stagione che mi fa intuire che forse in futuro avranno un ruolo ben più complesso [SPOILER: quando Jonas adulto li porta via con sé per salvarli dall’apocalisse imminente probabilmente dà il via a un nuovo arco narrativo per i due, che li porterà a diventare viaggiatori del tempo come lui… a quanto pare sono proprio loro due che vediamo spesso in compagnia di Adam FINE SPOILER].
Se nei primi due/tre episodi ci sono personaggi che potrebbero apparirvi stereotipati o di scarso interesse, prima o poi scoprirete che hanno il loro personale mistero da svelare… quando non sono proprio coinvolti più o meno direttamente nel quadro più ampio.

4 – Principio di autoconsistenza

Dark NetflixRiguardo la questione viaggi nel tempo, è forse bene sapere fin da subito che tipo di “scuola di pensiero” ha deciso di seguire questa serie, per settarsi già dal principio sulla stessa linea. È noto che, nonostante l’impossibilità fisica del viaggio nel tempo sia per svariati motivi la corrente di pensiero principale all’interno della comunità scientifica, nei decenni molti hanno comunque teorizzato diversi postulati riguardanti tale possibilità. Si parla di causa-effetto, consequenzialità degli eventi e chi più ne ha più ne metta. Uno dei nodi principali che arrovella il cervello dei teorici in tal senso è il principio che viaggiare nel tempo possa creare paradossi e come questi paradossi possano eventualmente essere sciolti. Pensiamo al classico esempio del viaggiatore nel tempo che va nel passato per uccidere Hitler, ma una volta riuscito nell’impresa nel futuro (suo presente) non avrebbe più motivo per viaggiare indietro nel tempo, quindi non lo farebbe, quindi Hitler non verrebbe ucciso, quindi il viaggiatore avrebbe di nuovo motivo di andare nel passato… capito dove voglio arrivare?
Uno dei postulati teorizzati per appianare tali problematiche da viaggio nel tempo è il principio di autoconsistenza di Novikov, anche noto come paradosso della predestinazione: come suggerito dal nome, si dà per scontato che qualunque cosa succederà al viaggiatore proveniente dal futuro mentre si trova nel passato è già successa, perciò ogni sua azione (che sia inconsapevole o finalizzata a realizzare o sventare un certo evento) non modificherà la realtà a lui nota in quanto il suo intervento “era già previsto” (es.: il viaggiatore che va nel passato per uccidere Hitler riesce nella sua impresa, ma in qualche modo avvia una catena di eventi per cui qualcun altro prenderà il posto del dittatore e avremo comunque un Hitler nei libri di storia).
Questo è lo stesso principio che regola la storia in Dark… il che fa sì che durante la visione siamo più volte portati a chiederci: “Ok, ma visto che lui è consapevole di ciò che ha fatto in passato per arrivare dove non vuole arrivare, basterà che nel presente che stiamo osservando si comporti diversamente da come ha fatto/farà?”. Il quesito che diventerà il vostro mantra è proprio questo: basterà?

5 – Dimenticate alcuni dei paradossi classici

Parlando di paradossi legati a un teorico viaggio nel tempo, una delle prime cose che siamo abituati a sentire in storie di questo tipo è “evita contatti con il te stesso del passato/futuro”: che sia l’avvertimento accorato di Doc in Ritorno al Futuro o lo stesso argomento affrontato con ironia da Futurama (il “nonno di se stesso” è ancora uno dei momenti più geniali che ricordi nella serie), sappiamo che la cosa porta in genere a conseguenze nefaste.
Ecco, dimenticate completamente questo principio: mi sono messa le mani nei capelli decine di volte durante la visione di Dark vista la nonchalance con cui metà dei personaggi affrontano la cosa. Siamo abituati a storie in cui la scoperta di una macchina del tempo deve necessariamente rimanere un segreto (che sia per motivi etici o per il rischio di implicazioni negative qualora la scoperta dovesse finire in mani sbagliate), quindi vedere come a un certo punto metà cittadina scopra il passaggio nelle grotte e ne disquisisca amabilmente con altri all’ora del tè mi ha inizialmente lasciata basita. Senza contare poi come spesso un personaggio comunichi con assoluta normalità con il proprio sé passato o futuro… tutti punti che vanno semplicemente presi per ciò che sono: in Dark è così, non ci si spaventa di fronte a ciò che è normalmente un grosso tabù in altre narrazioni dello stesso genere.
E posso già anticipare ai più puntigliosi, pronti come me a evidenziare un paio di buchi di trama (“Ma come? Possibile che chi ha conosciuto quel personaggio da ragazzino non abbia mai notato una certa somiglianza con quest’altro personaggio che è un bambino nel nostro tempo?”), che a un certo punto della seconda stagione verranno trattati anche alcuni di questi punti che all’inizio sembravano fare acqua da tutte le parti.

Spero di avervi dato qualche buona ragione per recuperare Dark in questo periodo prima del rilascio della stagione conclusiva… e anche qualche approfondimento possibilmente utile prima di approcciarvi alla visione, così da non farvi scoraggiare da dettagli non proprio chiari fin da subito.
Quanti di voi metteranno Dark in lista? E quanti l’hanno invece già visto? Se siete tra questi ultimi, siete d’accordo con la lista o aggiungereste/togliereste qualcosa? Cosa non vi ha convinto e cosa avete invece apprezzato di più della serie?
Fatemelo sapere qui sotto nei commenti
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Alla prossima!